Dopo lo scoop del Fatto

Inchiesta Sopaf, sul caso dei fratelli Toschi nessuna reazione in attesa dei ballottaggi

Ieri abbiamo pubblicato le mail con l’esultanza del parente imputato: “Mio fratello comanderà a Roma quanto di più utile per noi”. Guardia di Finanza in subbuglio

19 Giugno 2016

Lo scontro politico sul Comandante generale della Guardia di finanza Giorgio Toschi si riaccende e coinvolge le diverse anime delle fiamme Gialle, un corpo diviso nel quale alcuni settori non hanno digerito la nomina di Toschi, decisa dal premier Matteo Renzi lo scorso 29 aprile ignorando le perplessità dello stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Le mail di Andrea Toschi, fratello minore del generale, ai suoi colleghi e superiori del gruppo Sopaf erano da mesi al centro dei sussurri della politica. Il finanziere si vantava della sua arma segreta, “il mio fratellone con greca e stelle d’argento”. La loro pubblicazione sul Fatto di ieri ha rimesso in moto malumori di variegata natura, anche se tutte le parti in gioco sembrano aver stretto un tacito accordo: nessuno fiata in attesa del risultato dei ballottaggi di oggi. Utile allo scopo anche il compatto silenzio di tutti i media. La notizia pubblicata dal Fatto riguarda stavolta solo il capo della Guardia di Finanza anziché Virginia Raggi candidata M5S a sindaco di Roma, e quindi non è stata giudicata da nessuna agenzia di stampa o giornale online degna di essere ripresa o solo citata.

È vero, come dicono gli amici del generale, che Andrea Toschi nonostante il potente paracadute familiare è stato arrestato due anni fa proprio dalla Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della Sopaf. E oggi è a processo con numerosi altri imputati per una serie di reati che vanno dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta.

Ma è un fatto che proprio quelle mail sono state al centro, nei mesi scorsi, di alcuni colloqui riservati al Quirinale. Una serie di esponenti politici sono saliti al Colle per far presente a Mattarella che i legami familiari di Giorgio Toschi potevano risultare quantomeno imbarazzanti.

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva come candidato il generale Luciano Carta, al quale andavano le simpatie di quei settori della Gdf tradizionalmente legati ai ministri dei governo Prodi oggi rottamati. Lo stesso presidente emerito Giorgio Napolitano è stato accreditato di una maggiore inclinazione verso la scelta di Carta, anche se ovviamente non ha mai confermato pubblicamente quale fosse la sua opinione. Tra le ragioni dell’avversione di Napolitano per Toschi c’è il suo legame fortissimo con l’ex numero due della Gdf Michele Adinolfi.

Adinolfi, in tale confidenza con Renzi da poterlo apostrofare al telefono come “stronzo”, è stato intercettato durante una cena con il sindaco di Firenze Dario Nardella e Vincenzo Fortunato (ex capo di gabinetto di Giulio Tremonti) mentre spiegava ai commensali che “l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e Letta (Enrico, ndr) ce l’hanno per le palle, pur sapendo qualche cosa di Giulio”, cioè il figlio del presidente emerito.

La questione si riapre dopo la pubblicazione delle mail di Andrea Toschi, delle quali diversi testimoni diretti assicurano che Mattarella fosse al corrente. Tanto che diversi esponenti politici raccontano oggi che, durante i due mesi di braccio di ferro tra palazzo Chigi e Quirinale proprio sul nome di Toschi, Mattarella aveva fatto intendere a più di un interlocutore di avere la ferma intenzione di non firmare la nomina voluta da Renzi.

L’annuncio del 29 aprile, quando Renzi ha fatto passare in Consiglio dei ministri una raffica di nomine tra cui quella della Gdf, è stato per molti un’autentica sorpresa.

Oggi il tema si ripropone perché, contrariamente agli auspici dello stesso Quirinale, l’insediamento di Toschi al vertice della Guardia di Finanza non è stato seguito da una pacificazione all’interno del Corpo. Al contrario: il generale Carta è stato già fatto fuori dal comando dei “reparti speciali”, quelli che si occupano delle inchieste più importanti e delicate. Al suo posto va Filippo Ritondale, che, secondo l’analisi di Carlo Bonini pubblicata dalla Repubblica, si collocava schiettamente a sinistra fino al 2008: dopo la caduta del governo Prodi si è accasato nella cordata di Adinolfi, insieme a Toschi.

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