Dopo il disastro in Sicilia, il Pd ha imparato alla lezione e ora sa come correre verso le elezioni politiche: alla disperata. Così i dirigenti del Partito democratico hanno avuto l’idea per salvare il salvabile, ormai rimasto pochino: copiare Berlusconi. Il ministro Dario Franceschini, senza il quale Matteo Renzi segretario non sarebbe mai esistito, lo dice così, papale papale, a Francesco Verderami, sul Corriere della Sera: “Talvolta a scuola si copia per essere promossi”. Qui, in realtà, si copia per non restare del tutto marginali. Una situazione di panico nella quale si è disposti a sacrificare il proprio “campione”, il cavallo di razza, l’invincibile, l’intoccabile, l’eletto, anzi l’unto delle primarie. “E’ Renzi e solo Renzi – dice Luigi Zanda su Repubblica – che deve valutare se in questa fase convenga che lui sia segretario e anche candidato presidente. E’ una decisione che assumerà un’importanza nazionale. Se il prossimo governo sarà di coalizione il presidente del Consiglio dovrà essere indicato da tutti gli alleati”. Ma come: e i due milioni che lo hanno votato alle primarie, che in realtà – va bene la retorica – ma furono parecchi meno, cioè un milione e 250mila? “Va anche detto – dice Zanda – che quei due milioni sono sì frutto dell’appeal di Renzi, ma anche del lavoro appassionato di dirigenti e militanti della cui opinione bisogna tener conto”. La Ditta.

Così la scopiazzatura del centrodestra è totale. In due, tre, quattro retroscena sui giornali – quasi come fotocopie in ciclostile – esce fuori il pensiero del leader che perde male anche la Sicilia, dopo aver perso male città storiche con la guida decennale a sinistra e dopo aver perso male il referendum costituzionale (e di conseguenza la guida del governo). Il verbo del leader è che “alle elezioni si può andare anche senza un candidato a Palazzo Chigi” (Repubblica), “il premier si sceglie dopo” e “la questione del candidato premier non esiste” perché nel Rosatellum non esiste (Il Messaggero), “Ognuno corra con il suo candidato e poi si vede (Corriere della Sera), “Premier chi prende più voti” (La Stampa). Come per abitudine, Renzi sembra “aprire”, ma è solo un giochino di prestigio: sa che il partito più grosso in questa eventuale alleanza è senza dubbio il suo. La verità, dice Maria Teresa Meli sul Corriere, è che “la strada che Renzi non sembra disposto a percorrere è quella di cedere il passo a un altro, ad accettare, cioè, che sia un esponente diverso da lui a guidare l’alleanza”.

Quindi resta leader, ma non si deve dire per non irritare alleati e elettori degli alleati. Un modo per rassicurare anche Andrea Orlando, secondo il quale il nome su cui puntare sarebbe Paolo Gentiloni, o lo stesso Franceschini che chiede una coalizione larga, molto larga, larghissima. Quindi, così come Berlusconi è – “sedicente”, secondo Salvini – leader e federatore del centrodestra senza poter essere il capo del governo per via della legge Severino, allora Renzi diventa “impresentabile”, è disposto a non fare il leader in modo aperto né la figura del possibile presidente del Consiglio per ridurre i danni alle elezioni politiche. Un passo poco avanti, come promette da mesi e da anni il segretario del Pd, che arriva fino a teorizzare la coalizione che non ha leader, simbolo e programma comuni, ma che è solo un insieme di forze “ciascuna con la propria identità” (nel senso che vanno d’accordo quasi su nulla). “Un attacco a tre punte? Altro che passarci la palla, ci faremo degli assist straordinari. Basterà passarsi la palla e colpire uniti”. Lo diceva Berlusconi. Dodici anni fa, però. Il tridente, si ricorderà, era quello composto da lui, Casini e Fini.

Quindi avanti: il Pd insieme alla “Cosa rossa” che sta per nascere (o forse no, o forse sì) alla sua sinistra con Mdp, Sinistra Italiana e Possibile e magari con il listone di cui oggi si parla su molti giornali, guidato da Piero Grasso, da comporre con Giuliano Pisapia, in collaborazione con Emma Bonino, ma che tenga dentro anche Laura Boldrini e pure Carlo Calenda (ma è un’ipotesi che per il momento ha il sapore della trama di George Lucas).

E’ il vicolo cieco del Pd che sognava l’autosufficienza e si ritrova a cercare una badante alla sua sinistra. Ma gli occhi lucidi non sono sinceri, rispondono da Mdp. Anzi, “sono lacrime di coccodrillo”, dice Roberto Speranza. “Ormai siamo al gioco delle figurine con lacrime di coccodrillo – spiega – A noi non interessano le figurine ma una svolta politica serie, chiediamo di ripartire dalle politiche sbagliate di questi anni. Chiediamo di dire basta alla politica da videogiochi, che si chiuda una stagione fallimentare”. A Franceschini, Speranza replica che “imitare Berlusconi non può essere un obiettivo di una forza di sinistra. Vedo nelle sue parole solo ultratatticismo, non è possibile mettere assieme cose inconciliabili, io non vado a fare una campagna elettorale a dire viva il Jobs Act, viva la Buona scuola. Oggi al Pd dico di farla finita con l’arroganza. Ma è possibile che in un giorno come quello del voto in Sicilia ci sia chi attacca il presidente del Senato?”. La sinistra, insomma, ignora la richiesta di sos dei vecchi compagni rimasti sotto l’egida della Leopolda. Pierluigi Bersani riscalda l’ambiente lanciando – ora che si può – il nome che fa sognare, quello di Piero Grasso che ieri in tre parole ha fatto capire al Pd che è troppo tardi, per tutto: “Imputare a Grasso il risultato che si va profilando per il Pd, peraltro in linea con tutte le ultime competizioni amministrative e referendarie, è quindi una patetica scusa, utile solo ad impedire altre e più approfondite riflessioni, di carattere politico e non personalistico”. Il primo a ricordare al Pd che nell’ultimo anno le ha perse tutte. 

Il ricorso alla vecchia mossa del tridente, insomma, è solo l’ultimo colpo di reni. Vale la pena ricordare anche cosa rispondevano a Berlusconi quando parlava di tridente. “Altro che tre punte – replicava Oliviero Diliberto nel 2005 – Berlusconi fa il gioco delle tre carte. Vuole nascondere che la sua leadership è finita”.

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