Eugenio Scalfari non ha molti amici. Se ne avesse, questi lo prenderebbero da parte e gli consiglierebbero di scrivere solo romanzi o di leggere più e più volte (o farsi addirittura rileggere) gli articoli che egli va redigendo su Repubblica.2 o sul L’Espresso. Gli risparmierebbero molte figuracce. E la giusta fama del Fondatore rimarrebbe intatta. Invece lo mandano allo sbaraglio facendogli fare magre figure.

A giugno, un crudele Eugenio Ripepe sul Fatto quotidiano ha riletto gli editoriali che ogni domenica Scalfari elargisce dal pulpito di Repubblica e ha sottolineato con la matita blu tutti gli svarioni di date, nomi, avvenimenti storici. Probabilmente, quell’infausto giorno in redazione avranno distrutto tutte le copie del Fatto per non far prendere un dispiacere a un ego smisurato. Ma così si sono resi complici della continuazione del suicidio settimanale. Anche se il nuovo clericalismo e i rimpianti del compromesso storico scalfariani sono davvero stucchevoli, non abbiamo voluto mai infierire. Anche quando si è prodotto in tesi agghiaccianti sulla laicità e sull’ateismo. Persino quando, in una sua rapida biografia politica, ha saltato a piè pari la stagione socialista, che lo vide persino parlamentare. Ma a un fondatore come lui si può perdonare questa colossale sbianchettatura. Quindi lasciamo da parte errori e omissioni.

Ci disturba di più, e lo sottolineiamo, quando Scalfari, all’unisono con gli interessi del suo editore, detta la linea. Perché apre problemi che riguardano la libertà giornalistica. Ora, sotto la direzione di Mario Calabresi, la nuova concentrazione editoriale ha fatto cambiare di centottanta gradi a Repubblica la sua tendenza di sempre. Alcuni, pochissimi, giornalisti, hanno abbandonato la barca che virava precipitosamente, molti si sono dovuti adattare. L’anno scorso è stato tragico: Repubblica, fattasi renziana, ha perso lettori e soprattutto autorevolezza. Molto è dipeso da Scalfari.

I giornalisti praticanti, prima di affrontare l’esame per entrare nell’Ordine dei giornalisti, devono studiare vari testi. Alcuni di questi riportano l’esempio di scuola (autore Jean-Noël Jeanneney) del mutamento giornaliero della titolazione de Le Moniteur, che accompagna il rientro di Napoleone a Parigi dall’isola d’Elba:

Giorno 1: “L’antropografo è uscito dalla sua tana”
Giorno 2: “L’orco della Corsica è appena sbarcato a Golfe-Juan”
Giorno 3: “La tigre è arrivata a Gap”
Giorno 4: “Il mostro ha dormito a Grenoble”
Giorno 5: “Il tiranno ha attraversato Lione”
Giorno 6: “L’usurpatore è stato visto a 60 leghe dalla capitale”
Giorno 7: “Bonaparte avanza a grandi passi, ma non entrerà mai in Parigi”
Giorno 8: “Napoleone sarà domani sotto i nostri bastioni”
Giorno 9: “L’imperatore è arrivato a Fontainbleau”
Giorno 10: “Sua Maestà imperiale fa il suo ingresso al palazzo delle Tuileries, in mezzo ai suoi fedeli sudditi”.

Ugualmente, l’anno scorso Scalfari iniziò con un endorsement per il No al referendum sulla riforma costituzionale. Poi man mano che si avvicinava il voto, anche Scalfari si avvicinava a Renzi. Prima ponendo condizioni: non basta una sua dichiarazione, Renzi, uso a mentire, dovrà parlare al Parlamento e dire come cambierà l’Italicum. Poi un passetto avanti: Renzi, se vuole il mio Sì, deve garantire che correggerà l’Italicum. Poi, dovrà promettere di fronte al capo dello Stato. Poi, non è male la commissione interna del Pd che farà una bozza che rivoluzionerà l’Italicum. Alla fine, che bello il topolino partorito dal Nazareno. Alla vigilia: andate a votare Sì. Accompagnando così Napoleone il piccolo alla grande Waterloo.

Domenica scorsa, nel tentativo ardito di difendere il testo della “terza porcata”, il Rosatellum e l’indifendibile voto di fiducia, Scalfari si butta nella teoria e, novello Dahl, sentenzia: La democrazia non ha mai affidato i poteri al popolo sovrano e quindi la sovranità è affidata a pochi che operano e decidono nell’interesse dei molti”.

I “molti” stanno a guardare, al massimo possono applaudire. Votazioni democratiche in cui il cittadino sceglie i suoi rappresentanti è roba superata. Sono i “pochi” che decidono quali sono gli interessi dei “molti”. Dimenticando che i “molti” possono anche avere interessi diversi, persino contrapposti. Nella sua difesa a oltranza della legge elettorale, Scalfari dimentica di dire che i “pochi” di adesso sono stati eletti con una legge incostituzionale. E anche nel futuro quei “pochi” illuminati con tutta la sovranità in mano da chi saranno scelti? Ma è ovvio. Dai “pochissimi” perennemente dediti all’interesse dei “molti”, come Salvini, Berlusconi, Renzi e chissà chi altro.

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