Alla Camera la legge è passata col voto trasversale, cioè Pd e M5s insieme. Al Senato il vento cambia e i Cinquestelle che vogliono fare il prima possibile vengono fermati dal Pd e dal resto dei gruppi di Palazzo Madama che chiedono di discutere il provvedimento con le procedure normali. Quindi con i consueti 60 giorni di tempo anziché 30, come previsto dall’iter d’urgenza. Per il Pd qualche giorno di differenza non cambia niente, perché il tema sarà comunque affrontato in autunno, per i Cinquestelle è un modo per frenare. Il risultato è che al Senato insieme al M5s solo la Lega Nord ha votato a favore dell’inversione dell’ordine dei lavori. Per Beppe Grillo, che pubblica un post sul blog poco prima della votazione, è un “clamoroso voltafaccia” perché il “vitalizio non vogliono perderlo”. Anzi, secondo Grillo, Pd, Mdp e Forza Italia “hanno già pronto il trucco per affossare la legge”.

Il problema del Pd, in realtà, è anche di semplice conta di voti: anche se, in ipotesi, si mettessero insieme i voti favorevoli di democratici, grillini e leghisti, la legge non passerebbe. Per questo bisogna passare attraverso la mediazione con Mdp e altre forze di sinistra. Nel merito, invece, una parte del Pd – soprattutto al Senato – chiede modifiche che garantiscano la costituzionalità della legge, oltre ad allargare il consenso ad altre forze politiche. Ma in questo caso servirebbe una terza lettura alla Camera che – per quanto veloce grazie alle “maggioranze allargate” – si inserirebbe nel rush finale della legislatura. “Per la casta non è mai urgente tagliarsi i suoi privilegi – ricorda Vito Crimi, M5s – Quando si trattò di approvare la legge Boccadutri sui soldi ai partiti votarono il provvedimento in poche settimane”. “Un bluff demagogico” lo definisce il Pd, col vicecapogruppo Claudio Martini, “perché l’esame del provvedimento, che ricordo è stato proposto dal Pd, comincerebbe comunque a settembre”.

E’ stato durante il dibattito che è stato chiaro che lo scontro tra Pd e M5s è tornato frontale, altro che collaborazione. I toni si sono accesi soprattutto con l’intervento del capogruppo democratico a Palazzo Madama Luigi Zanda che non si è risparmiato niente per provocare i colleghi dei Cinquestelle, inserendo una serie di argomenti che con i vitalizi c’entravano poco: ha sottolineato che il M5s è stato l’unico gruppo a non intervenire per condannare il regime venezuelano di Maduro, ha citato “il caso di Roma“, alle numerose interruzioni e alle urla dei senatori grillini (gestite dal presidente Piero Grasso) ha risposto che sono “metodi da regime“. Con il M5s solo la Lega Nord: “Spiace constatare che ancora una volta questo governo e questa maggioranza restano indifferenti alle richieste che arrivano dagli italiani – dice il capogruppo al Senato Gianmarco Centinaio – Abolire anche per il passato i vitalizi in tempi veloci sarebbe stato finalmente un bel segnale della politica alla gente”.

Zanda ha spiegato, durante l’intervento al Senato, che il M5s è protagonista di una “politica parlamentare che punta non su ciò che è più urgente per i problemi dell’italia, ma a quello che può servire per la grancassa della propaganda”. “Smettiamo – dice per esempio – di chiamare vitalizi ciò che il parlamento ha trasformato in pensioni”. Il Pd vuole discutere la legge “che ci arriva dalla Camera a nostra prima firma e certo non dai 5 stelle: Il Senato non deve dilungare inutilmente la discussione e non lo farà, ma non deve troncarla artificialmente”. La stessa richiesta d’urgenza ha un obiettivo chiaro, dice: i parlamentari M5s “vogliono apparire come i campioni dell’antipolitica, dell’antipartitismo, gli anti-sistema”. Alberto Airola, M5s, lo interrompe più volte, Grasso lo richiama all’ordine, poi lo diffida. All’ennesima interruzione Massimo Caleo, senatore Pd ex sindaco di Sarzana, sbotta: “Stai zitto!”. Zanda attacca: ricorda ai Cinquestelle che “il bicameralismo va rispettato, visto il risultato del No al referendum che il M5s ha sostenuto e non è accettabile che ora il M5s voglia imporre una procedura che ricondurrebbe il Senato a mero passacarte”. Sono le stesse parole usate pochi minuti prima da Peppe De Cristofaro di Sinistra Italiana, eppure fa arrabbiare Vito Petrocelli e cominciano le prima grida. Andrea Cioffi viene richiamato all’ordine, Petrocelli per due volte, Orellana fa dei video e dentro l’emiciclo non si può. Zanda non riesce a concludere e forse un po’ non vuole concludere mentre continua la protesta grillina. “Veramente non si accorgono che stanno usando metodi da regime” rincara il capogruppo, provocando gli applausi dei banchi del Pd. Non bastasse, Zanda trova il modo per parlare di Roma. Altro boato. “Allora non citerò più Roma”. Finisce con cartelli e “buffoni”. “Faremo nomi e cognomi di chi saboterà il provvedimento – giura Grillo sul blog – perché gli italiani devono sapere con chi hanno a che fare. Come fa una legge a essere valutata dallo stesso partito in un modo alla Camera e in un altro al Senato?”.

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