Donald Trump ci ha sorpreso ancora una volta. Nessuno poteva immaginare che avrebbe lanciato una pioggia di missili cruise (tomahawk) contro la Siria poche ore prima di sedersi davanti a Xi Jinping, il leader cinese, per la tradizionale cena di gala che apre questo tipo di incontri bilaterali. Anche se il giorno prima il segretario di stato americano Rex Tillerson aveva fatto la voce grossa accusando pubblicamente il regime di Assad di aver usato armi chimiche contro la popolazione di Idlib, l’idea di un attacco militare di questa portata, senza l’appoggio del congresso americano, del consiglio di sicurezza dell’Onu o di un alleato importante come il Regno Unito appariva assurda. Ancora più preoccupante è il fatto che i missili cruise sono stati lanciati dal Mediterraneo, un mare che geograficamente dista centinaia di migliaia di chilometri da Washington e dove invece si affacciano paesi europei, mediorientali e nordafricani.

Eppure è successo. Benvenuti nell’era della politica surreale dove si prendono decisioni assurde, capaci di innescare reazioni a catena catastrofiche, perché a giudicare da quanto sta succedendo in Medio Oriente e nel resto del mondo, gli scenari possibili non sono certo positivi. Naturalmente tutto ciò è già successo, a cavallo del XIX e il XX secolo e negli anni Trenta, per non parlare poi delle guerre che hanno dilaniato l’Europa per due millenni.

Oggigiorno, però, tutto ciò può succedere senza accorgersene a causa dell’impatto che la moderna tecnologia ha sulla nostra vita. Tutto si muove velocissimamente e richiede una risposta immediata, che necessariamente sarà istintiva. La realtà virtuale viaggia a ritmi sempre più incalzanti, ormai troppo veloci per la diplomazia classica. Le decisioni vengono sempre più prese dai leader. Così Angela Merkel dopo aver visto l’immagine del corpo di un bambino siriano su una spiaggia del Mediterraneo ha aperto le frontiere europee, lo ha fatto d’istinto senza riflettere sulle conseguenze di gesto di questa portata; di fronte alle immagini strazianti di altri bambini siriani negli ospedali e ambulatori di Idilb, tutti vittime delle armi chimiche, Donald Trump ha lanciato un attacco punitivo contro la Siria. Anche lui la decisione è stata presa d’istinto, senza pensare troppo alle sue conseguenze.

Ma sono davvero quelle immagini di bambini siriani vittime di una guerra civile trasformatasi in un conflitto per procura che coinvolge diverse potenze a produrre questi comportamenti fuori della norma diplomatica, oppure la politica estera non ha più i nervi saldi ed è vittima anch’essa della sindrome del botta-risposta virtuale? In altre parole la pausa di riflessione dedicata all’apertura delle frontiere e al lancio dei missili è simile a quella dedicata a un tweet? Siamo così abituati a insultarci a vicenda nello spazio cibernetico inviando messaggini, immagini, video o podcast nello spazio di pochi istanti che abbiamo dimenticato le regole della convivenza in quello reale.

Queste critiche non sono dirette solo ai politici, ma a tutti noi. L’opinione pubblica mondiale, quella dei cosiddetti “paesi liberi”, ha inizialmente lodato quasi all’unanimità sia la decisione della Merkel che quella di Trump. E la spiegazione è semplice: anche a noi le immagini dei bambini siriani hanno fatto ‘prudere le mani’ ed è sembrato giusto punire Assad perché chi altro poteva commetter un gesto del genere? Come diceva George W. Bush: “O state con noi o con i terroristi”. Non esiste una terza opzione. Quindi noi siamo i buoni e chi non è d’accordo con Trump è con i nemici, gli aguzzini siriani, gli assassini dei bambini, i jihadisti e così via.

Gli accessori della realtà virtuale e la velocità con la quale questa si muove grazie a loro incoraggia questo tipo di semplificazione (140 caratteri per fare un Twitter) e questo tipo di polarizzazione (gli amici di Facebook che si scambiano notizie da loro selezionate). Nessuno ha il tempo, lo spazio o l’energia per affrontare il problema in tutta la sua complessità. Il moto naturale della realtà virtuale è semplicista e selettivo, non per motivi politici o di propaganda, ma in funzione della natura dei social media. E qui è bene fare un esempio per capire cosa sta succedendo.

Le vittime di Mosul – tra cui anche dei bambini – colpite a causa di un “errore militare” americano il 17 marzo scorso sono subito passate nel dimenticatoio (del resto, gli americani ci hanno messo 10 giorni per ammettere l’errore, ndr). Le foto, i video della loro agonia non sono stati costantemente proiettati nei social media. Quelle immagini non sono comparse sui nostri cellulari, sugli ipad, o sui nostri computer come quelle dell’attacco chimico. Il motivo? Non erano disponibili, non esistevano in rete. La graduatoria delle tragedie non ha più nulla a che vedere con il numero delle vittime o con chi le ha uccise o la natura della catastrofe ma come l’evento viene presentato al mondo, dipende dal marketing mediatico.

Raccontata così la politica internazionale sembra un film dell’orrore che descrive un mondo dove la verità è stata rimpiazzata non dalla propaganda politica ma dal marketing digitale. Un bilancio davvero deprimente. 

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