Ci costringete a navigare con i motori delle celle frigo dei tir accesi”. “Si presenta il solito problema degli allacci frigo“. Un fitto scambio di lettere, lungo almeno tre giorni, nel corso del quale l’equipaggio del Norman Atlantic informava l’armatore Carlo Visentini dei problemi che vi erano a bordo a causa degli allacci frigo. Mail importanti per accertare le responsabilità dell’incendio che provocò la morte di 29 passeggeri del traghetto mentre si trovava in navigazione tra Igoumenitsa e Ancona nella notte del 28 dicembre 2014. Perché l’innesco di quel rogo sarebbe stato proprio il motore diesel di un camion frigo non allacciato alle prese elettriche della nave, secondo quanto hanno concluso i periti incaricati dal gip Alessandra Piliego nella loro perizia, pubblicata in esclusiva da ilfattoquotidiano.it nelle corse settimane. Di certo, sostengono i tecnici nelle quasi 700 pagine di relazione, la notte del disastro c’erano almeno tre camion frigo non allacciati all’impianto elettrico.

Durante le cinque udienze finali dell’incidente probatorio, concluso nell’aula bunker di Bitonto, la faccenda si è complicata. Perché i pm Ettore Cardinali e Federico Perrone Capano hanno letto le mail inviate dal comandante della nave Argilio Giacomazzi all’armatore per lamentare la violazione delle norme sulla sicurezza a bordo del traghetto relativamente al carico dei tir. “Ci mettete nelle condizioni di viaggiare con più camion frigo rispetto al numero delle prese a disposizione, costringendoci a tenere accesi i motori delle celle refrigeranti dei tir”, è il tenore di una delle lettere partite da bordo. Una corrispondenza andata avanti dal giorno di Natale a sabato 27 dicembre, poche ore prima del disastro, tra equipaggio, armatore e la società greca Anek, compagnia di navigazione che aveva noleggiato il traghetto.

Ma Visentini era stato informato già il 20 dicembre di altri problemi legati agli allacci. Porta quella intestazione, infatti, la mail inviata da Michele Lazzizera, direttore di macchina del Norman Atlantic, alla “cortese attenzione” dell’armatore. Una lettera che Il Fatto ha avuto modo di leggere. “Volevo portarle a conoscenza che come ogni inizio di nuovo noleggio si presenta il solito problema degli allacci frigo (…) Già ieri sera l’elettricista ha dovuto allacciarsi senza preavviso e dopo che la nave era carica 41 frigoriferi finendo alle 22, tenendo presente che siamo partiti alle 18.42, questo anche grazie al fatto che le prolunghe non erano state preparate e che i camion sono stati caricati in modo a dir poco ignobile”, si legge nel testo. “Noi abbiamo preso visione del contratto che dice che ciò spetterebbe al personale Anek”, aggiunge poi Lazzizera.

E sempre riguardo alle prese elettriche, come raccontò ilfattoquotidiano.it pochi giorni dopo la tragedia, una passeggera greca, Urania Thireou, aveva detto di aver assistito, proprio la sera del disastro durante la sosta a Igoumenitsa, a un acceso diverbio sul modus operandi tra l’addetto al carico e alcuni membri dell’equipaggio perché “c’erano solo 4 spine disponibili” ma molti camion ancora in attesa dell’imbarco. Ora il suo racconto viene di fatto confermato dalle mail lette dal pm. Nell’ultima scambiata da Visentini e Anek, armatore e società noleggiatrice si davano appuntamento al 29 dicembre per risolvere la questione del carico dei mezzi e delle prese di corrente. Troppo tardi. Poche ore dopo il Norman Atlantic andò a fuoco, con ogni probabilità proprio a causa di quel problema noto ma non ancora risolto.

Nel corso delle udienze, si è parlato anche di un altro passaggio della perizia. Lo ha citato l’avvocato Massimiliano Gabrielli, che assieme ai colleghi Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni, rappresenta diverse parti offese. I periti evidenziano infatti un dialogo registrato dalla scatola nera tra Giacomazzi e un membro dell’equipaggio. “Chiamiamo le autorità più vicine?”, viene chiesto al comandante. “Siamo ancora vicino alle coste albanesi”, è la risposta. E nella perizia viene annotato: “Il comandante ha ritenuto opportuno soprassedere alla chiamata per non coinvolgere le autorità albanesi”. Una questione delicata, tanto che lo stesso gip Piliego ha detto che avrebbe posto lei la domanda se non fosse stata avanzata dai legali. Diversi passeggeri, fin dai primi giorni, hanno rimarcato come, nonostante l’Albania fosse visibile a occhio nudo, i soccorsi partirono dall’Italia. “Le guardie costiere più pronte per intervenire erano quelle italiane e greche – ha spiegato il perito – E comunque quattro minuti più tardi, rispetto a quel dialogo, viene lanciato il distress”, un allarme attivato tramite un pulsante, al quale seguì poi quella notte una richiesta a Crotone Radio, una stazione radio costiera per il servizio mobile marittimo.

“Come avvocati delle vittime, non siamo d’accordo su alcune conclusioni del collegio dei periti riguardo la chiamata via radio ai soccorsi italiani per smarcarsi dai costi dei rimorchiatori albanesi e siamo entrati in polemica anche con il Gip riguardo al fatto che, di fronte alle certificazioni, si sia arrestata ogni ulteriore analisi sul funzionamento degli apparati di bordo”, afferma il team di legali. “Ove emergano, come nel caso di specie, dei malfunzionamenti alla scatola nera o carenze addirittura progettuali della nave ed al sistema antincendio, i periti del tribunale avrebbero dovuto procedere in maniera più critica e non fermarsi davanti ad un pezzo di carta – concludono – È tutto certificato, nave certificata, incendio certificato, morti certificati. Ce la vedremo al dibattimento”

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