Il “te l’avevo detto” di Beppe Grillo a Virginia Raggi è arrivato con una telefonata. Il leader M5s che cammina su e giù per la stanza dell’hotel Forum, la prima cittadina che risponde dopo che il suo ex vice capo gabinetto è stato arrestato. “Raffaele Marra deve andarsene”, è questa la frase che Grillo ha detto decine di volte alla sindaca dal giorno dell’elezione in Campidoglio. E lei per decine di volte ha protetto quello che in breve tempo si è guadagnato l’aggettivo di “fedelissimo”. La storia delle perplessità di Grillo sul dirigente, già collaboratore dell’ex sindaco di Gianni Alemanno, è come una lunga odissea che finisce nel peggiore dei modi. Se vogliamo un inizio, è il 12 luglio. Fa molto caldo, non è passato nemmeno un mese dai festeggiamenti per la conquista della Capitale e Grillo scende a Roma: ha un colloquio con la Raggi, dei contenuti se ne sa poco. Il Fatto Quotidiano racconta che parlano (anche) delle polemiche per il ruolo di Marra: lei chiede indipendenza, lui gliela concede. Ma è solo l’inizio. All’attacco in trincea si mette la deputata romana Roberta Lombardi: rilascia dichiarazioni, fa telefonate continue. Si lamenta del dirigente che per lei è “un virus”: a novembre farà addirittura un esposto contro Marra. Il leader M5s la ascolta, ma si sente accerchiato. Così mentre cerca di tenere in piedi il gruppo, a settembre la situazione precipita con le dimissioni dei cinque dirigenti e la capa di gabinetto Carla Raineri che se ne va accusando la Raggi di avere un cerchio magico. “Diamo fastidio ai poteri forti”, replica lei davanti a quel che resta della sua giunta. E’ il momento più difficile: i parlamentari e i vertici compatti chiedono alla Raggi di dare un segnale e di far fare un passo indietro a Marra. Lei ottiene un altro rinvio, una mediazione: lo trasferisce a guidare il dipartimento delle risorse umane. E’ una toppa e lo sanno in tanti dentro il Movimento perché il dirigente è “un bandito“, dicono. Nel mezzo c’è la corsa senza fiato per il referendum del 4 dicembre e vige la regola del “ci penseremo”. Ma anche l’inchiesta dell’Espresso che fa venire i capelli ancora più bianchi a Grillo. A quel punto retroscena raccontano di un aut aut della Raggi: “Se va via lui, lascio anch’io”. Tutto smentito, ma intanto restano entrambi.

I primi malumori a giugno, il 2 luglio l’Ansa batte: “Verso la revoca dell’incarico” – Le prime polemiche sono datate 29 giugno: Raffaele Marra compare come uno dei papabili per il ruolo di vicecapo di gabinetto in affiancamento a Daniele Frongia. La sindaca Raggi prende tempo, gli replica a distanza la Lombardi che in quel momento fa ancora parte del mini direttorio e crede di poter avere un’influenza: “Ho conosciuto il dottor Marra ieri”, dice a Rai Radio 2, “ho letto anche io di questi suoi incarichi precedenti (vedi Alemanno ndr). Ora capiremo se è stata una nomina ponderata, ci sarà un approfondimento. Abbiamo anche l’umiltà di dire che, se facciamo dei piccoli errori, li rimediamo subito”. Il primo luglio interviene addirittura Di Maio. Alle domande dirette sulla vicenda risponde genericamente: “Chi ha distrutto questa città non fa parte della nostra squadra; chi in questi anni ha dimostrato buona volontà, competenze e storia personale all’interno della macchina amministrativa, ci venga a dare una mano. L’ho detto in tempi non sospetti. Sia a Torino che a Roma la squadra non sarà legata al M5s, ma sarà composta soprattutto da persone competenti che possono realizzare il nostro programma”. Morale in piena estate, mentre tutti pensano solo ad arrivare sani e salvi alle vacanze, si decide che sarà una nomina temporanea: poco tempo per passare le consegne e trovare un sostituto adeguato. Il 2 luglio l’Ansa addirittura batte: “Verso la revoca dell’incarico: salta Marra”.

Non era niente di tutto questo, anzi. La tiritera finisce con la conferma della nomina di Marra al ruolo di vice capo di gabinetto. E come diretta conseguenza, anche se all’inizio non era neppure troppo chiaro, la Lombardi lascia il mini direttorio, organo nato e voluto per dare un sostegno esterno alla giunta Raggi. Lei dice di averlo fatto perché troppo impegnata nell’organizzazione dell’evento di Palermo 5 stelle, ma la verità è un’altra e il suo passo di lato è solo l’inizio di una lungo braccio di ferro.

Il primo settembre si dimettono in 5 contro il “cerchio magico”, la Raggi: “Diamo fastidio ai poteri forti” – Agosto passa trattenendo il fiato, ma è solo un modo per rinviare i problemi. Il primo settembre scoppia il caso. Cinque dirigenti in Campidoglio si dimettono in massa in segno di polemica e la sindaca rimane sola con quello che viene definito il suo cerchio magico: il vice Daniele Frongia, il capo segreteria Salvatore Romeo e appunto Marra. Il problema è la nomina di Carla Raineri, la capa di gabinetto: la Raggi dice che la procedura non è corretta, ma risulta che l’esposto all’Anac lo ha firmato lo stesso Marra. La dimissionaria attacca e la sindaca replica nel corso della giunta: “Diamo fastidio ai poteri forti, ma già da oggi daremo un primo segnale. Siamo determinati a lavorare per il bene della città”, dichiara. “Queste dimissioni non ci spaventano. Stiamo valutando personalità di elevatissima caratura in modo che possano far parte della squadra. Già oggi potremo dare un primo segnale”. La Raineri risponde con un’intervista su Repubblica: “Il duo Romeo-Marra? I vertici del M5s hanno deciso di non intervenire, o peggio non ci sono riusciti“.

Il 6 settembre la situazione precipita: il direttorio M5s, che ancora esisteva prima del quasi azzeramento voluto da Grillo, si riunisce e dà un aut aut alla sindaca. Deve ridiscutere le nomine di Marra e Romeo, nonché gli allora assessori Muraro e De Dominicis. La posizione nasce dopo oltre dieci ore di riunione ed è un’autocoscienza collettiva. Il gruppo deve affrontare anche lo scandalo in cui è finito coinvolto Di Maio che non ha comunicato la notizia delle indagini a carico della titolare all’Ambiente. La linea dura diventa necessaria, anche a fronte delle tante polemiche, ma la Raggi riesce ancora una volta a strappare una mediazione. Marra diventa capo del personale, Romeo si taglia lo stipendio e si salva la Muraro. La crisi si chiude con le scuse in piazza di Di Maio (un unicum per la politica italiana) e le pacche sulle spalle di Beppe Grillo: “Virginia andrà avanti, noi vigileremo che rispetti il nostro programma”, urla dal palco di Ostia.

Ma c’è una parte del Movimento che continua ad avere dubbi, che insiste nel chiedere spiegazioni. Il 15 settembre la Lombardi torna all’attacco. Rilanciata dalla collega Carla Ruocco. “Abbiamo gli anticorpi per respingere i virus che hanno infettato il movimento”, scrive. “Poiché la trasparenza è un valore del M5s, sono sicura che il sindaco Raggi pubblicherà subito i pareri dell’Anac in suo possesso sulle nomine di Marra e Romeo”. Deve intervenire Grillo, ancora una volta, per ricordare che c’è un bene maggiore a cui aspirare e bisogna restare compatti: “Tutto il M5s sostiene Virginia”, scrive sul blog, “affinché vada avanti e porti a compimento il programma per cui è stata votata dai romani. Punto. Uniti, faremo di Roma la più bella capitale del mondo”. Il giorno dopo ospita il suo intervento sul blog in cui elenca gli interventi fatti a Roma in tre mesi: “Andiamo avanti, cambieremo Roma e il paese”, scrive la sindaca. “M5s non si ferma davanti alle difficoltà e agli attacchi quotidiani di chi ci teme”. Sul resto? Silenzio.

Grillo chiama i consiglieri uno a uno e il mistero dell’aut aut della Raggi – Il colpo finale lo dà l’inchiesta dell’Espresso su Marra e l’immobiliarista Scarpellini. Grillo la legge e capisce che, ancora una volta deve prendere in mano la situazione. Allora fa quello che umanamente gli riesce meglio: alza il telefono per chiamare i consiglieri in Campidoglio e chiedergli un parere sul dirigente. Lo chiama “un sondaggio” e la vuole far passare come una cosa innocua. Nei fatti è scavalcare completamente l’autorità della sindaca, che incassa in silenzio. Il 30 ottobre i giornali pubblicano i retroscena: Raggi ha parlato con la sua squadra e ha detto che se Marra deve lasciare se ne va anche lei. Lo dicono Repubblica e il Messaggero, lo rilancia oggi il deputato Giuseppe Brescia. Lei quel giorno però smentisce: “Se è vero che ho minacciato di dimettermi per il caso Marra? Ma no, chi lo avrebbe detto? Non ne so nulla. Se potrei rinunciare a Marra? Tutte le decisioni sono già state prese. Quando l’interpello sarà finito vedrete”. Addirittura in quel caso interviene anche Di Maio: “Sul ruolo del dirigente capitolino non c’è nessun aut aut. In ogni caso le decisioni le prende il sindaco”.

Marra in tutto questo sta in disparte, ma non troppo. Anzi rilascia una lunga intervista al Fatto Quotidiano dove, tra le altre cose, parla di una lotta di potere dentro il M5s: “Credo che l’attacco alla mia persona arrivi dall’interno del Movimento. C’è stato un accanimento nei miei riguardi: sin dai primi giorni in cui ho iniziato a collaborare con il sindaco Raggi il mini-direttorio M5s con me non ha voluto avere alcun tipo di interlocuzione, pensavano che fossi legato alla destra romana e alle vecchie amministrazioni. Ma non e’ cosi”. Del colloquio Grillo viene a sapere la mattina sfogliando i giornali, e ancora una volta passa la giornata ad ascoltare le lamentele dei suoi in Parlamento. Gli chiedono il pugno duro, lui sa che è necessario, ma temporeggia.

L’ultima volte che si parla di Marra in ordine di tempo è a fine novembre: il fratello Renato è promosso al dipartimento del Turismo, nominato dal suo stesso consanguineo. L‘Anac apre un’istruttoria, ma l’Italia è già in campagna elettorale per il referendum e la notizia cade nel vuoto. I grillini hanno in testa solo il governo e sperano che Roma regga il colpo. C’è anche chi si dice ottimista che la situazione si sia risolta. Questo fino all’arresto del 16 dicembre.

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