Il pacchetto previdenziale vale circa 1,9 miliardi per il 2017, 2,6 nel 2018 e 2,9 nel 2019, per un totale di 7,3 miliardi in tre anni. Secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri, che ha sottolineato come la manovra investa “il grosso delle risorse sulle pensioni invece che sui giovani”, ci saranno effetti pesanti anche sul debito pensionistico. Il tutto in un Paese che per gli assegni previdenziali spende già il 16% del prodotto interno lordo. Entrerà in vigore in via sperimentale il primo maggio 2017 l’Anticipo pensionistico (Ape) volontario, che darà la possibilità a chi ha maturato 20 anni di contributi minimi di andare in pensione con 3 anni e 7 mesi di anticipo attraverso un prestito che il lavoratore stipulerà con l’Inps. Ma solo se il futuro assegno previdenziale non sarà inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo, ossia circa 700 euro, al netto della rata di ammortamento. Entro il 31 dicembre 2018 il governo verificherà i risultati della sperimentazione e deciderà se replicare. La somma andrà restituita in 20 anni attraverso una trattenuta dall’assegno pensionistico. La rata di restituzione, stando a quanto anticipato dal sottosegretario Tommaso Nannicini, sarà calcolata stimando un debito di circa il 4,5-4,6% del reddito pensionistico annuo per ogni anno di anticipo. Condizioni e criteri saranno però disciplinati nel dettaglio con un decreto del presidente del Consiglio che verrà emanato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della manovra. In caso di ristrutturazione aziendale, l’impresa può accollarsi il costo parziale o totale dell’operazione (Ape aziendale). Sia per l’Ape volontaria sia per l’Ape aziendale è garantita una detrazione fiscale in quota fissa del 50% sugli interessi del prestito-ponte pagati dal pensionato.

L’Ape social – Potranno andare in pensione anticipata senza costi a loro carico, attraverso l’Ape social, i disoccupati senza ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi, i disabili e i loro parenti che li assistono da almeno 6 mesi. Condizione necessaria, per queste categorie, è aver versato almeno 30 anni di contributi. Chi svolge da almeno sei anni attività particolarmente pesanti tanto da rientrare nella categoria delle usuranti potrà richiedere l’Ape social, ma solo se ha all’attivo almeno 36 anni di contributi. Forte lo scontro con i sindacati, che ritengono si sia ristretta troppo la platea. Sono 11 le categorie di lavoratori che, stando al testo finale della manovra, potranno accedere all’Ape social: operai delle miniere e dell’edilizia, conduttori di gru e treni, camionisti, ostetriche e infermieri ospedalieri, addetti all’assistenza di non autosufficienti, maestre di scuola dell’infanzia, facchini e addetti allo spostamento di merci, personale addetto alle pulizie e operatori ecologici. Esclusi i lavoratori agricoli. C’è infine un altro paletto: occorre avere un reddito pensionistico lordo mensile non superiore ai 1.500 euro lordi. Per l’Ape social sono disponibili 300 milioni per il 2017, 609 milioni per il 2018 e 647 per il 2019. I soldi probabilmente non basteranno per tutti coloro che faranno richiesta l’anno prossimo. Chi resta fuori, dovrà aspettare.

I lavori usuranti – Il testo modifica anche la disciplina sul lavoro usurante, già regolato dal decreto legislativo n.67/2011, stabilendo requisiti d’accesso più favorevoli. È prevista infatti la possibilità di andare in pensione 12 o 18 mesi prima (a seconda che si tratti di lavoro dipendente o autonomo) rispetto a quanto stabilito dalla legge Fornero. Potranno accedere coloro che hanno svolto lavori pesantifaticosi o notturni per almeno 7 anni negli ultimi dieci di attività (cade il vincolo che il lavoro usurante debba essere stato svolto anche nell’ultimo anno di attività) o per un numero di anni almeno pari alla metà dell’intera vita lavorativa. I lavoratori precoci, quelli che hanno lavorato almeno un anno prima di averne compiuti 19, potranno andare in pensione dal 2017 con 41 anni di contributi (indipendentemente dall’età). La quota 41 vale per le stesse categorie che possono accedere all’Ape social. Il requisito contributivo, però, è soggetto ai futuri adeguamenti alla speranza di vita.

La quattordicesima, gli esodati e le novità sul cumulo – La quattordicesima sarà più ricca del 30% per i 2,1 milioni di pensionati che già la ricevono, perché hanno un assegno fino a 750 euro al mese. E la mensilità aggiuntiva sarà estesa anche agli 1,2 milioni di pensionati tra i 750 ed i 1000 euro al mese. Sarà dunque riconosciuta in tutto a 3,3 milioni di persone. Per coloro che hanno già il beneficio l’importo sarà aumentato di una somma variabile dai 262 ai 655 euro, crescente al salire degli anni di contribuzione, mentre per i nuovi beneficiari la somma sarà compresa tra 336 euro e 504 euro. Viene poi ampliata la cosiddetta no tax area, cioè il tetto di reddito sotto il quale non sono dovute le imposte: sarà equiparata per tutti a quella dei lavoratori dipendenti, fissata a 8.125 euro lordi l’anno. Attualmente il limite è di 7.750 euro per i pensionati al di sotto dei 75 anni e di 8mila euro per tutti gli altri. Saranno circa 100mila i pensionati in più che potranno godere dell’esclusione fiscale.

Nella legge di bilancio è prevista poi l’ottava salvaguardia degli esodati: riguarderà fino a 27.700 persone che potranno andare in pensione con i requisiti precedenti alla riforma Fornero del 2011. I salvaguardati saliranno così a quota 164.795. La rete dei comitati, però, chiedeva un intervento per 34mila persone non tutelate dai precedenti provvedimenti. Il governo prevede, per l’ultima tornata, una spesa di 775 milioni dal 2017 al 2019, di cui 134 per il primo anno.

Via libera, infine, al cumulo dei contributi versati a diverse gestioni assicurative obbligatorie per l’accesso alla pensione di vecchiaia e anche in caso di pensione anticipata. La misura si applicherà a chi ha periodi di contribuzione non coincidenti presso l’Inps, i fondi speciali dei lavoratori autonomi, la gestione separata, i fondi sostitutivi come quello degli elettrici e dei telefonici. Fuori dal perimetro gli iscritti a forme di previdenza private.

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