La nuova assoluzione, nel processo d’appello bis, per i medici dell’ospedale Pertini di Roma era arrivata il 18 luglio 2016. Nessuna responsabilità per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato nella capitale nell’ottobre 2009 e morto una settimana dopo in ospedale. Per i giudici i camici bianchi dovevano capire, ma comunque il paziente avrebbe smesso di vivere: “Hanno colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione” ma “appare logicamente poco probabile che Cucchi si sarebbe salvato”. Questo perché Cucchi non solo era denutrito, ma soffriva di celiachia, epilessia ed era tossicodipendente. Gli imputati per omicidio colposo erano Aldo Fierro, il primario, e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. L’ospedale Pertini, nell’ottobre del 2013, risarcì la famiglia.

I motivi dell’assoluzione vengono duramente criticati da Ilaria Cucchi: “Come sorella di Stefano e come cittadina sono indignata e amareggiata per un processo che normale non è. Mi rivolgo al presidente di Anm e al Csm per sapere se considerano fisiologico l’andamento processuale sulla morte di Stefano. E se tutto questo sarebbe ugualmente accaduto se non gli fosse stata tolta la vita quando era nelle mani dello Stato”.

I giudici: “Malnutrizione, unita alle altre patologie”
Per i giudici del processo di appello bis “è possibile individuare la causa della morte nella sindrome da inanizione“. Ovvero uno stato di decadimento generale, di deperimento organico come effetto della mancanza o della insufficienza di alimentazione. Una morte, scrivono i giudici nelle motivazioni del verdetto, “causata da un’insufficiente alimentazione e idratazione iniziata prima dell’arresto alla quale devono aggiungersi le patologie da cui era affetto (epilessia, tossicodipendenza e riferito morbo celiaco), lo stress per i dolori delle lesioni lombo-sacrali e un ‘quasi’ digiuno di protesta”. Solo tre giorni fa i periti del giudice di Roma, nell’ambito della nuova inchiesta che vede indagati cinque carabinieri, avevano ipotizzato che l’epilessia fosse l’ipotesi più attendibile per il decesso.

Tutti questi elementi concomitanti per i giudici “hanno contribuito ad aggravare lo stato di deperimento organico in cui il paziente già si trovava a causa della grave denutrizione da cui era affetto”. Dunque per i giudici dell’appello bis è l’alterazione dei processi metabolici, determinati dall’inanizione, “la causa prima della morte di Cucchi che, producendo il deterioramento e la morte delle cellule, ha innescato quella che i periti hanno definito la causa ultima dell’exitus, che può essere dipesa sia da motivi cardiaci, come sostenuto dai consulenti del pm, sia da problemi neurologici, come sostenuto dai consulenti delle parti civili”.  Secondo i magistrati “tale ricostruzione dei fatti è l’unica che consente di spiegare la costellazione di segni e di sintomi che il paziente presentava”.

Il legale della madre: “Situazione paradossale”
I medici “avrebbero dovuto pervenire alla diagnosi” di inanizione ma considerato che “la malnutrizione di Cucchi era in stato di avanzato rischio quoad vitam già a settembre 2009″ per i giudici “non vi è un’elevata probabilità logica – scrivono i magistrati nelle motivazioni – che eventuali presidi terapeutici posti in essere in tale data (19 ottobre, giorno del ricovero, ndr) peraltro nel tardo pomeriggio, avrebbero potuto salvare la vita del paziente o ridurre la lesività della malattia”.

“Siamo a una situazione paradossale. A pochi giorni di distanza abbiamo una sentenza che afferma che Cucchi è morto per inanizione, una perizia che invece sostiene che la causa della morte è l’epilessia oppure la vescica neurologica. Quello che è certo è che quello che è avvenuto è legato casualmente alle lesioni subite da Stefano” commenta così l’avvocato Stefano Maccioni, legale della mamma di Stefano.

La storia dei processi: in principio 12 persone indagate
Inizialmente la storia processuale vide l’iniziale iscrizione nel registro degli indagati di 12 persone: sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria. Le accuse andavano a vario titolo dall’abbandono d’incapace all’abuso d’ufficio, dalfavoreggiamento al falso, fino alle lesioni e all’abuso di autorità. La tesi accusatoria fu che Cucchi era stato “pestato”nelle celle del tribunale, in ospedale erano state ignorate le sue richieste e addirittura era stato abbandonato e lasciato morire di fame e sete. Da lì si arrivò a un processo lungo e impegnativo, con decine di consulenze, una maxi-perizia, l’audizione di quasi 150 testimoni. E dopo due anni, il 5 giugno 2013, la sentenza: condanna solo dei medici, ma per omicidio colposoassoluzione di infermieriagenti della penitenziaria. Il passaggio successivo fu il processo d’appello, con un’altra verità: medici tutti assolti “perché il fatto non sussiste” con la formula che richiama la vecchia insufficienza di prove.

Ma la storia fu riaperta dalla Cassazione – il 9 marzo 2016 – che decise di cancellare parzialmente quella sentenza, ritenendo non convincenti le motivazioni dell’assoluzione dei cinque medici. Da qui un nuovo processo d’appello, finito in estate appunto con la dichiarazione di innocenza dei camici bianchi. Chiuso questo capitolo si era aperta una nuova inchiesta della Procura di Roma. Nel mirino degli inquirenti i carabinieri che avevano arrestato il geometra. Quel procedimento è in fase preliminare ed è in sede di incidente probatorio che sono state rese note le conclusioni dei periti del giudice che è emerso che “le lesioni non sono correlabili con il decesso, anche se non non è possibile formulare alcuna causa di morte, stante la riscontrata carenza documentale”.

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