Marcia indietro del governo sui requisiti di capitale per i gestori di servizi digitali e posta elettronica certificata. Dopo le proteste dell’associazione che raccoglie gli operatori indipendenti dei servizi internet e di connettività (Assoprovider), il testo del decreto che modifica il Codice dell’amministrazione digitale (Cad) è stato emendato durante il passaggio in consiglio dei ministri del 10 agosto. Nella nuova versione, che dovrebbe essere pubblicata a breve in Gazzetta ufficiale, scompare l’articolo che eliminava le distinzioni tra gestori dell’identità digitale, certificatori accreditati e conservatori accreditati (ribattezzati “prestatori di servizi fiduciari qualificati”) imponendo a tutti di dotarsi di un capitale sociale “non inferiore a quello necessario ai fini dell’autorizzazione all’attività bancaria” (…) “in qualità di banca di credito cooperativo“, cioè 5 milioni di euro.

La novità avrebbe messo fuori mercato molte piccole società, visto che attualmente per accreditarsi come conservatore di documenti è sufficiente un capitale di 200mila euro e per i gestori di Pec basta 1 milione. E il Consiglio di Stato, pur dando parere positivo al testo, aveva definito “irragionevoli” e “illegittimi” i nuovi paletti, considerata la “sicura conseguenza negativa di vedere escluse dal mercato stesso tutte le imprese del settore di piccole e medie dimensioni”.

Forse per questo il ministro Marianna Madia ha deciso la marcia indietro. O meglio, ha stabilito di rimandate il problema. All’articolo 25 del testo definitivo del decreto attuativo per la digitalizzazione della pa si legge infatti che sarà un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a fissare i requisiti, in base ad alcuni criteri: le soglie del capitale sociale richiesto saranno “graduate” e i 5 milioni diventeranno non il requisito per tutti ma un “tetto massimo“. Sarà introdotta anche una graduazione delle garanzie assicurative, “in modo da assicurarne l’adeguatezza in proporzione al livello di servizio offerto”.

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