La scorsa settimana Antonio Fiorentino, architetto e attivista di perUnaltracittà, ha denunciato la svendita di parte del patrimonio pubblico della Regione Toscana. Il dibattito decolla con il contributo dal Nodo toscano della Società dei Territorialisti/e presieduta da Alberto Magnaghi e che vede nel comitato scientifico personalità del calibro di Pier Luigi Cervellati, Luca Mercalli, Paolo Baldeschi, Enzo Scandurra, Vandana Shiva, Tonino Perna, Serge Latouche e, non ultima, Anna Marson, ex-assessore all’urbanistica proprio nella giunta guidata da Enrico Rossi tra il 2010 e il 2015. Ecco l’invito rivolto al presidente della Toscana: ritiri la delibera di svendita del patrimonio pubblico e intraprenda una gestione non mercificata dei beni comuni.

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Capisaldi sociali e territoriali, garanzia di inclusività e di crescita civile, i beni pubblici presiedono al disegno democratico di redistribuzione delle risorse e il loro mantenimento in proprietà contrasta i progetti neoliberisti di trasferimento dei beni di molti nelle mani di pochi. Queste ragioni dovrebbero indurre la Regione Toscana a conservare la proprietà del patrimonio edilizio di sua competenza, a non perseguire politiche di stampo economicista nella loro gestione. E a ritirare quindi la delibera che pone in vendita molti edifici di proprietà regionale.

La Società dei Territorialisti/e è dalla parte di chi intende mantenere pubblica la proprietà del patrimonio edilizio e fondiario della nazione, la cui stessa esistenza favorisce i processi di ri-territorializzazione, sia nel territorio aperto che entro il tessuto urbano. Aree ed edifici che Regione, Comuni e Città metropolitana hanno messo all’incanto si sono infatti dimostrati luoghi di enormi potenzialità, in cui si inverano pratiche dal “basso”, esperienze di “costruzione di territorio”, sperimentazioni di nuove forme di autogoverno e di gestione collettiva del bene comune.

Nei centri storici desertificati e nelle periferie contemporanee, l’esistenza di aree di proprietà pubblica – il più delle volte di notevole valore storico-artistico – garantisce l’occasione per l’innesco degli auspicabili processi di rigenerazione urbana e sociale: il recupero di edifici o di terreni abbandonati al degrado, la loro fruizione collettiva e le nuove pratiche di welfare dal basso che possono scaturire dal riutilizzo di spazi pubblici vuoti o in dismissione, costituiscono una non trascurabile occasione di creazione di nuovi posti di lavoro in autogestione e di pratiche di autocostruzione finalizzate alla residenza per le fasce sociali più deboli.

Nelle campagne, proprietà e terreni pubblici contribuiscono a favorire l’occupazione giovanile nella neo-agricoltura autosostenibile, e, attraverso la promozione di parchi agricoli e di filiere alimentari locali, a innescare processi di ripopolamento rurale. Nello scenario attuale delle pratiche di riappropriazione di spazi pubblici condannati alla vendita, il caso della Fattoria di Mondeggi – di proprietà della Provincia – è paradigmatico e dovrebbe fungere da esempio per riconfigurare nuove politiche di gestione dei beni statali, regionali, comunali e pubblici in genere.

A fronte della mercificazione che investe città e territori, la Regione Toscana inverta la rotta e avvii un corso politico che impedisca l’introduzione dei beni comuni nel Mercato e che anzi valorizzi l’inveramento di pratiche dal “basso”, esperienze di “costruzione di territorio”, e sperimentazioni di nuove forme di autogoverno e di gestione collettiva del bene comune.
 
Nodo toscano della Società dei Territorialisti/e
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