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Quando la Chiesa cattolica diede parere favorevole alle adozioni per le coppie gay nessuno si stracciò le vesti. Oggi con il Family day e l’opposizione al ddl Cirinnà che regola le unioni fra persone dello stesso sesso disciplinando anche l’istituto della adozioni, quelle posizioni aperturiste sembrano del tutto dimenticate. Eppure risalgono ad appena un anno e mezzo fa. In Vaticano si sta celebrando Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014, il primo delle due assemblee dedicate da Bergoglio alla famiglia, e nella Relatio post disceptationem, dopo la prima settimana di dibattito, c’è un capitolo intitolato “accogliere le persone omosessuali”.

Tre paragrafi di cui l’ultimo, il numero 52, abbastanza chiaro: “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners. Inoltre, la Chiesa ha attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli”. In un linguaggio laico si potrebbe tradurre e sintetizzare questo paragrafo con due espressioni: unioni civili e adozioni per coppie gay.

In un altro paragrafo dello stesso documento, il numero 50, si legge: “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale, senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?”. Ecco il punto chiave che è poi esattamente quello ribadito dal Papa: “Non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”

Quel testo intermedio del Sinodo del 2014, come è noto, non passò la prova delle votazioni dei vescovi che preferirono una clamorosa marcia indietro sui gay. Non poteva esserci un’apertura per gli omosessuali nemmeno nel dibattito del Sinodo del 2015 dopo il coming out del monsignore vaticano Krzysztof Charamsa che, alla vigilia dell’inizio dei lavori, aveva rivelato di avere un compagno da diversi anni. Una scelta mediatica dettata anche da risentimenti personali verso il Papa e la Santa Sede, che lo licenziò in tronco, tesa, come sostenne il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, a sabotare il dibattito sinodale. E così avvenne.

Sui gay, infatti, nel documento finale del Sinodo del 2015 si legge: “Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale”. Sui matrimoni gay “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso”. Oggi la domanda è una sola: quando la Chiesa diverrà matura e aprirà finalmente gli occhi e le sue porte?

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