“Confido di poter chiarire al più presto di aver agito in totale trasparenza”. Era il 7 luglio del 2015 e Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi indagato per corruzione e truffa per lo strano affare delle quote Fip, diceva di essere amareggiato per le contestazioni della Procura di Milano. Ma ci vorrà ancora tempo prima di capire se il giudice per l’udienza preliminare riterrà di doverlo rinviare a giudizio per il pasticciaccio brutto dei 7,6 milioni di euro fatti incassare dall’ente di previdenza dei giornalisti alla finanziaria dei Magnoni con l’affaire delle quote Fondo immobili pubblici. Sì perché dopo l’istanza di ricusazione del giudice, presentata da alcuni dei difensori degli imputati il 14 dicembre, oggi la difesa di Camporese ha chiesto il trasferimento del procedimento a Roma, facendo slittare la decisione del giudice al 28 gennaio. Se il giudice dovesse decidere per il trasferimento oppure dovesse rinviare ulteriormente Camporese potrebbe “vivere” con più tranquillità le prossime elezioni dell’Inpgi previste dal 22 al 28 febbraio. Il presidente non è candidato, ma gli permetterebbe un’uscita di scena meno complicata.

Secondo la tesi del pm di Milano, Gaetano Ruta, le quote del Fondo immobili pubblici, un investimento sicuro e redditizio, furono pagate molto di più di quanto l’Istituto di previdenza dei giornalisti avrebbe dovuto, mentre Camporese ha sempre respinto tutte le accuse bollando come “falsità” e “calunnie” le dichiarazioni di Andrea Toschi, ex presidente di Arner Bank e ex amministratore della società di gestione del risparmio Adenium controllata dalla Sopaf dei finanzieri Magnoni. Camporese, imputato con altre 10 persone, ha chiesto il trasferimento del procedimento a Roma per ragioni di competenza territoriale.

Tra gli imputati ci sono Giorgio, Aldo e Ruggero Magnoni cui viene contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta. Cuore della contestazione la distrazione di fondi dalla Sopaf, società che era stata ammessa alla procedure di concordato preventivo nel febbraio del 2013. I soldi finivano, riciclati, all’estero: Austria, Svizzera, Madeira, Lussemburgo, Bermuda e Mauritius. Era poi emerso poi il capitolo truffe ai danni degli enti previdenziali come Enpam (Istituto di previdenza dei medici) e Inpgi: valore del bottino 27 milioni. Ebbene l’ipotesi della Procura è che Camporese sia stato ricompensato in vari modi per aver fatto guadagnare agli indagati oltre 7 milioni di euro; ci sono alcuni viaggi (non contestati), c’è quello che gli inquirenti definiscono emolumento ovvero un ruolo nel comitato consultivo di Adenium, controllata al 100% da Sopaf, con una retribuzione di 25mila euro all’anno per due anni, incarico solitamente non retribuito. E poi ci sono i soldi veri e propri. Sono state le dichiarazioni di Toschi a spingere le indagini degli investigatori del nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza fino in Svizzera.

La caccia era finalizzata a individuare un conto acceso nel marzo del 2013 nella sede di Lugano della Bsi. È lì che Toschi avrebbe “ospitato”poco più di 142mila euro che Camporese gli avrebbe chiesto di depositare dopo aver venduto una casa a Padova e aver, a suo dire, intascato una parte della vendita in nero. Secondo gli inquirenti Toschi e Camporese quindi si sarebbero accordati per “trasferire risorse finanziare dell’importo di almeno 200mila euro” per il presidente Inpgi che aveva “veicolato su Adenium”, secondo l’accusa l’investimento delle quote Fip.

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