Il caso non è chiuso. Anzi. Lo scandalo della gestione palermitana dei beni confiscati alla mafia continua a tracimare dai confini degli uffici giudiziari dei magistrati coinvolti. Cosa accadrà dopo gli ultimi avvenimenti e cioè l’addio del prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, ritenuta troppo vicina a Silvana Saguto, (ex presidente della sezione misure cautelari di Palermo da pochi giorni sospesa dalla magistratura), è difficile dirlo. Anche perché l’onda lunga dello scandalo siciliano sembra destinata a creare qualche ulteriore imbarazzo all’esecutivo di Matteo Renzi.

NOMI ECCELLENTI – L’inchiesta è ancora in corso, infatti. Ma dalle carte della procura di Caltanissetta spunta a sorpresa un altro esponente del governo, oltre a  Cosimo Maria Ferri, sottosegretario alla Giustizia, di cui si è già parlato nelle scorse settimane. Di chi si tratta? Nella nota 66 del file 31 del fascicolo delle intercettazioni si legge il nome di Davide Faraone (nella foto con il presidente del Consiglio Matteo Renzi). Già deputato all’Assemblea regionale siciliana, Faraone uscì sconfitto, nel 2012, alle primarie per la candidatura a sindaco di Palermo nonostante uno sponsor d’eccezione e cioè Matteo Renzi. Fortissimo fin dalla prima ora il legame con l’ex rottamatore: Faraone è infatti stato uno degli organizzatori più attivi della Leopolda. Il resto è storia recente. Eletto alla Camera nel 2013, dal 2014 è sottosegretario al Miur dopo essere entrato nella segretaria del Pd a guida renziana come responsabile di Welfare e Scuola. La nota in questione rimanda ad un testo coperto da omissis, come del resto larga parte del materiale contenuto nel fascicolo a salvaguardia della prosecuzione delle indagini. Per questa ragione probabilmente il nome risulta stampato in chiaro ma i motivi per i quali vi si riferisce restano sconosciuti. Per saperne di più, ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare il sottosegretario Faraone. Non è stato possibile parlarci. Quanto a Ferri, capo indiscusso della corrente di Magistratura indipendente e sottosegretario alla Giustizia dal 2013, il ruolo che Saguto e i suoi sodali speravano potesse svolgere è in parte desumibile dalle conversazioni captate dagli inquirenti.

CALDA ESTATE In questo senso il 28 luglio 2015 per l’inchiesta sui beni sequestrati è una data da cerchiare con la matita rossa. E’ il giorno in cui il Consiglio superiore della magistratura (Csm) approva il nuovo testo unico della dirigenza e il ministro della Giustizia, Andrea Orlando è a Palazzo dei Marescialli per testimoniare l’importanza dei nuovi criteri appena varati dal plenum che promettono più meritocrazia e meno correnti per la scelta dei vertici degli uffici giudiziari italiani. Intanto alla Camera gli animi sono surriscaldati almeno come la temperatura che fa toccare, dentro e fuori il Palazzo, picchi africani: in aula è in corso uno scontro durissimo sulla riforma delle intercettazioni che finirà con un rinvio dopo l’ostruzionismo del Movimento 5 Stelle (M5S).

FERRI E FUOCO Silvana Saguto non è a Palermo quel martedì, ma è a Roma, di nuovo. Una settimana prima è stata nella Capitale per sollecitare al presidente della sezione misure cautelari Guglielmo Muntoni (che per questo rischia di finire nei guai) incarichi per suo marito Lorenzo Caramma. Il 28 luglio invece è a Roma, presumibilmente al ministero di via Arenula, per incontrare il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri e parlargli – dice la donna – “sempre delle nostre vicende”. Ha bisogno, sembra, di una sponda che la metta al riparo da possibili iniziative dopo che le inchieste giornalistiche sulla gestione dei beni confiscati alla mafia hanno travalicato i confini siciliani e sono approdate in maniera prepotente sui media nazionali.

TEMPESTA IN ARRIVO Si intuisce che per il magistrato è un momento particolarmente drammatico e deve essere tentato di tutto affinchè il sistema regga alla tempesta che invece si abbatterà su di lei fino a travolgerla: il pressing della sua banca, per esempio, è scandito dagli sms che la angosciano sulla situazione dei suoi bilanci domestici, mentre le richieste incessanti dei figli non le lasciano scampo: “Non potete farmi spendere 12, 13, 14 mila euro al mese. La situazione nostra economica è arrivata al limite totale”, si sfoga il 9 luglio per telefono col figlio Elio, il più piccolo dei tre rampolli a cui però non sa dire di no. Lo stesso figlio diletto a cui racconta la sera del 28 luglio alle 21:09 l’esito dell’incontro con Ferri. “Bene, bene, è andata bene. Gli ho detto tutte cose, vuole mandato pure tutto lui, dice che dobbiamo organizzare… vediamo che fa Natoli (presidente della Corte d’Appello di Palermo, ndr)… poi vediamo di organizzare un’intervista, però non con me. Dice: ‘deve essere qualcun altro che parla, non tu che sei già abbastanza esposta’”.

IMBARAZZO AL CSM L’incontro a Roma tra Ferri e Saguto è stato organizzato da Tommaso Virga, a cui la procura di Caltanissetta contesta in questa inchiesta il reato di induzione alla concussione. E che ancora oggi siede nella commissione ministeriale sulla riforma del Csm (di cui è stato in un recente passato consigliere). La commissione di cui fa parte Virga è stata istituita con decreto del 12 agosto dal ministro Orlando che allo stato non ha ritenuto di esercitare l’azione disciplinare nei suoi confronti.  A rivelare la genesi dell’incontro a Roma con Ferri è un’intercettazione ambientale del 17 luglio. Nell’ufficio del presidente Saguto, Tommaso Virga (padre di Walter uno degli amministratori favoriti da Saguto nonostante la giovane età, secondo gli inquirenti per garantirsi gli uffici del padre) racconta di aver parlato con il sottosegretario Ferri della situazione delle misure di prevenzione oggetto di attenzione da parte dei media chiedendogli la possibilità che sia la stessa Saguto, accompagnata da lui, a raccontare personalmente la vicenda a Roma. I due, Saguto e Virga padre, parlano liberamente in ufficio a Palermo e non sanno che il nucleo della polizia tributaria li sta ascoltando: Virga cerca di rassicurare Silvana Saguto e afferma di aver già parlato del suo caso ad alcuni consiglieri del Csm ritenuti vicini a Ferri. Circostanza quest’ultima che imbarazza da settimane, e non poco, Palazzo dei Marescialli.

CARA SAGUTO Finora a pagare il prezzo più alto dell’inchiesta è stato l’ex presidente della sezione misure cautelari di Palermo Silvana Saguto. E’ stata sospesa dalle funzioni e dalla stipendio, su richiesta del ministro della Giustizia e del pg di Cassazione titolari dell’azione disciplinare. Il Csm ha ritenuto nei suoi confronti ravvisabile “il mercimonio della funzione pubblica” in cambio di utilità personali. Nel mirino, come detto, c’è però anche il presidente della sezione misure cautelari di Roma Guglielmo Muntoni a cui la Saguto fece visita per procacciare lavoro a suo marito avendo a stretto giro conferma del suo interessamento. Particolarmente evocativo un sms datato 11 agosto: “Puoi mandarmi il cellulare di tuo marito? Potrebbe interessargli un incarico per il Cara di Mineo?”.  E gli altri? I magistrati coinvolti nell’inchiesta sono stati auditi dal Csm e hanno respinto ogni addebito come ha fatto la scorsa settimana per quattro ore Tommaso Virga che è presidente di sezione a Palermo. I magistrati che invece afferivano alla sezione misure cautelari del tribunale di Palermo guidata da Saguto attendono l’esito della richiesta di trasferimento che hanno fatto  al Csm: Fabio Licata e Lorenzo Chiaromonte ambiscono a rimanere sull’isola a Termini Imerese, Trapani o Marsala. Un altro, Dario Scaletta si è visto revocare nel frattempo dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo la designazione quale componente della locale DDA.

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