Sarà che è venerdì 24 aprile, ma era l’aula della Camera davanti alla quale il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha riferito sulla morte di Giovanni Lo Porto era desolatamente vuota. Questo l’esito dell’indignazione di giovedì, quando è stata resa pubblica la notizia della morte, a gennaio, del cooperante italiano che era stato rapito nel 2012. Lo Porto è rimasto vittima di un’operazione antiterrorismo americana condotta con un drone al confine tra Pakistan Afghanistan e resa nota solo giovedì dagli Stati Uniti. Gentiloni ha detto ai pochi deputati presenti che “il presidente Obama ha informato il presidente del Consiglio Matteo Renzi nella tarda serata del 22 aprile scorso della morte di Giovanni Lo Porto e dell’altro ostaggio americano in un bombardamento effettuato a metà gennaio con velivoli a pilotaggio remoto. Tale informazione è stata fornita appena finalizzate le verifiche condotte da parte da statunitense. Verifiche che si sono protratte per tre mesi per la particolarissima natura del contesto“.

Le autorità statunitensi, ha affermato il ministro, sostengono che “non era facile accedere al compound e identificare persone rimaste colpite”. Il governo italiano “prende atto di queste affermazioni e dell’impegno alla massima trasparenza assunto ieri dal presidente degli Stati Uniti che ha informato di voler rende pubblica la tragica notizia il 23 aprile assumendosene piena responsabilità davanti al popolo americano e italiano”. Prima la famiglia di Lo Porto “è stata avvertita dall’Unita di crisi della Farnesina, che ha sempre mantenuto contatti con i famigliari residenti a Palermo”, ha precisato Gentiloni.

L’operazione, come emerso già giovedì, “era per colpire esponenti di Al Qaeda tra cui il cittadino di origine americana Ahmed Farouk”. Ora “è aperta un’inchiesta della magistratura“, ma “vorrei sottolineare come l’unità di crisi della Farnesina abbia seguito la vicenda negli ultimi mesi. In seguito alla notizia del sequestro erano stati attivati tutti i canali disponibili per rintracciare Giovanni Lo Porto. Abbiamo mantenuto un costante scambio di informazioni con la unità di crisi tedesca per tutto il periodo in cui è stato con il collega tedesco (liberato in Afghanistan il 10 ottobre 2014) e anche per la fase successiva. Fin dal primo momento il governo ha fatto pressione sulle autorità locali per far luce sulla vicenda chiedendo al governo pakistano di istituire un’apposita task force per far luce sul rapimento a cui hanno partecipato funzionari diplomatici e dei servizi dell’ambasciata di Islamabad”.

“L’ultima evidenza che fosse in vita risale allo scorso autunno. Poi ci sono state diverse azioni sul campo che hanno reso più complessa l’attività di acquisizione delle informazioni sul terreno. L’Italia troverà modo di onorare la memoria di Giovanni come ha detto il presidente del Consiglio. Lavoreremo per chiarire le circostanze del tragico errore riconosciuto ieri dal presidente Obama. I tragici errori e le colpe che il presidente ha riconosciuto non incrinano la volontà del governo di combattere il terrorismo con le forse dello Stato impegnate sul terreno”.

Gentiloni ha esordito davanti all’aula di Montecitorio ricordando come Lo Porto abbia “vissuto dedicandosi agli altri” e l’abbia “fatto in maniera concreta fin dagli anni della laurea in cooperazione internazionale presa a Londra, con convinzione e consapevolezza e conoscendo la responsabilità e le aspettative nei confronti del suo lavoro. Questa attività, in cui molti connazionali sono impegnati, vede crescere il pericolo e in parallelo deve crescere la prudenza e devono crescere il nostro sostegno e la nostra vicinanza”.

 

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“Giovanni Lo Porto e Weinstein non sono le prime vittime innocenti dei droni Usa”

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