Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan chiede mano libera nel concedere aiuti pubblici ai settori in cui i privati non hanno più interesse a investire. Padoan, parlando in Senato davanti ai rappresentanti dei 28 Stati membri dell’Unione europea riuniti per il meeting della Cosac (Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell’Unione dei Parlamenti Ue), ha infatti detto che l’Europa dovrebbe “identificare alcuni segmenti” in cui l’azione pubblica, della Banca europea degli investimenti o dei governi, “permetta di colmare la carenza di investimento che il mercato da solo non è in grado di produrre, in quello che si chiama fallimento di mercato“. Come dire che la Ue, per far fronte a un deficit di risorse investite dai privati che per il 2013 è calcolato in almeno 230 miliardi di euro, dovrebbe lasciare maggiore spazio di manovra ai governi e alle istituzioni finanziarie pubbliche “in tutti quei settori, come energia e infrastrutture, in cui l’azione pubblica possa produrre una leva importante”.

La presa di posizione, arrivata durante una tavola rotonda sulla “revisione della Strategia Europa 2020 su crescita, occupazione e competitività“, fa pensare che il titolare del Tesoro, tiepido sul troppo timido piano Juncker, speri in una riforma complessiva delle norme comunitarie sull’aiuto di Stato. Nelle cui maglie i governi italiani rimangono molto spesso incastrati: dall’indagine sui soldi concessi dalla milanese Sea alla controllata Sea Handling alla multa per l’esenzione dagli oneri sociali concessa nel 1997 dal pacchetto Treu fino alle richieste di chiarimenti sull’intervento di Poste italiane in Alitalia. Per arrivare ai recenti dubbi della Commissione Ue sul prestito ponte concesso all’Ilva, il via libera all’uso dei fondi sequestrati dalla magistratura ai Riva e i soldi pubblici usati per la bonifica di aree inquinate dall’acciaieria. Peraltro proprio in queste ore il governo, come rivelato domenica dal premier Matteo Renzi in un’intervista a Repubblica, sta mettendo a punto un piano di temporanea nazionalizzazione del gruppo siderurgico, che dovrebbe passare attraverso l’intervento del Fondo strategico di Cassa depositi e prestiti. E va ricordato che anche la Strategia italiana per la banda larga inviata a Bruxelles poche settimane fa prevede esplicitamente “contributi pubblici a fondo perduto per la realizzazione della rete super veloce nelle aree a fallimento di mercato, cioè quelle dove l’investimento privato non è redditizio.

Per motivare la richiesta, Padoan ha avvertito che “l’Europa si trova di fronte a un bivio: continuare a strisciare in un sentiero di crescita non sufficiente oppure prendere decisioni importanti per imboccare sentieri di crescita più sostenuti”. Indispensabile, dunque, “in una prospettiva più a lungo termine”, una “maggiore integrazione” del sistema economico europeo su due fronti: “Un’unione dei mercati dei capitali e, più in là, forme concrete di unione fiscale“, ovvero quel regime di tassazione unico invocato anche dal presidente della Bce Mario Draghi. Bisogna insomma “cedere ulteriore sovranità“, ha ribadito Padoan, anche in questo caso perfettamente in linea con Draghi.

“Le soluzioni nazionali” infatti “sono importanti e necessarie, ma non sufficienti”, serve una maggiore integrazione europea che significa “la costruzione di istituzioni comuni”. E, nonostante sia la crisi il maggior incentivo a cambiare, in una fase in cui l’Europa fatica a uscire dalla recessione “tutti i Paesi devono accelerare il cambiamento, compresi quelli che sono stati meno colpiti o che sono stati risparmiati”. Chiaro riferimento alla Germania, che ha fatto sapere di essere disposta a investire nelle proprie infrastrutture solo 10 miliardi. Troppo poco, se si considera che il Paese ha un surplus commerciale di oltre 260 miliardi di euro.

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