Attenti a chi offre assicurazioni sanitarie a prezzo stracciato. Perché “polizze che costano 300 euro all’anno o giù di lì non possono garantire la copertura completa che promettono: basti pensare che solo per il dentista ogni italiano spende in media 200 euro l’anno”. A suonare il campanello d’allarme, a margine della presentazione del rapporto Oasi sullo stato di salute della sanità italiana, è Francesco Longo, docente di politiche pubbliche alla Sda Bocconi e tra i curatori del report. Che comprende anche un sondaggio tra cittadini ed esperti sull’evoluzione del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Se i primi si augurano che quantità e qualità delle prestazioni del servizio pubblico aumentino o almeno restino invariate, gli addetti ai lavori giudicano “probabile” una riduzione del perimetro dei servizi garantiti dallo Stato. E una contestuale crescita della spesa per la salute intermediata proprio dalle compagnie di assicurazione. Una strada, peraltro, indicata chiaramente dalle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera, che lo hanno messo nero su bianco in giugno nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul Ssn. E anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin in luglio ha confermato che “è maturo il tempo per l’integrazione tra pubblico e privato nella sanità”. Insomma: l’idea prevalente è che accanto ai servizi garantiti dallo Stato dovrà svilupparsi un “secondo pilastro” costituito da fondi e assicurazioni. Ma, qualità dell’assistenza a parte, chi ha da guadagnarci? E quanto?

Come si divide la torta – Oggi la “torta” della salute italiana frutta alle compagnie assicurative premi per un valore di oltre 2 miliardi. Si tratta dei ricavi ottenuti dalle polizze malattia, cioè quelle che prevedono tra l’altro il rimborso delle spese mediche sostenute per visite, accertamenti, operazioni e ricoveri. In base ai dati dell’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici (Ania), nel 2013 al primo posto si è piazzata Generali, con premi per oltre 600mila euro su 7 miliardi che il Leone di Trieste ha raccolto, limitatamente all’Italia, nel ramo danni. Segue un altro big, Unipol, con una raccolta di 557mila euro su 9,7 miliardi di premi complessivi del ramo danni. Al terzo posto si piazza però un “outsider” specializzato nel settore, Rbm Salute, che anche grazie a allettanti offerte promozionali ha visto i premi salire a 184.360 euro con un incremento del 47,6% rispetto al 2012. La società ha pochi anni da vita: nata nel 2007 come Dkv Salute, nell’orbita della tedesca Munich Re, ha preso il nome attuale nel 2011 dopo l’acquisizione da parte del gruppo veneto Rb Hold. Quest’ultimo è controllato e guidato dall’ex dirigente di Generali Roberto Favaretto, intorno al quale ruota una galassia di società attive nella gestione di fondi sanitari e strutture sanitarie convenzionate. Tra le controllate, in particolare, ci sono Previmedical e Previnet. La prima gestisce tra gli altri i fondi integrativi dei dipendenti Fiat, Intesa Sanpaolo e Banco Popolare e amministra le pratiche di rimborso per quelli di Banca d’Italia, Cassa depositi e prestiti, Confindustria e Rai. Previnet invece si occupa di servizi informatici per la gestione di prodotti finanziari, assicurativi e previdenziali ed è stata fondata nel 1995 da Generali e dalla ex Banca commerciale italiana, confluita in Intesa Sanpaolo. Dal 2001 al 2008 ne è stata socia anche Unipol. Al quarto posto, dietro Rbm, c’è Allianz, anch’essa con 184 milioni e seguita a distanza da Reale Mutua. Il tutto in un quadro che, stando alle rilevazioni di Ocse e Organizzazione mondiale della sanità, vede la spesa sanitaria privata ammontare a 30 miliardi di euro l’anno, contro i circa 110 che vanno a finanziare il sistema sanitario nazionale. L’aspetto interessante, per le compagnie, è che di quei 30 miliardi più o meno 26 gravano direttamente sulle tasche dei cittadini (in gergo si chiama spesa out of pocket), mentre solo 4 miliardi sono intermediati da assicurazioni, fondi sanitari integrativi e mutue che fanno da tramite tra il paziente e la clinica o l’ambulatorio medico. Insomma: c’è notevole margine di crescita.

Perché le assicurazioni non possono perdere la partita – Per capire quanto la partita sia importante per le assicurazioni bisogna tener conto di un altro aspetto: con la crisi, che ha tagliato anche gli spostamenti e quindi il numero di sinistri, i ricavi derivanti dalla “gallina dalle uova d’oro” Rc auto sono progressivamente calati: lo scorso anno le compagnie hanno registrato, nel complesso, una riduzione della raccolta di quasi il 6 per cento. Unipol e Generali hanno visto i premi calare del 10 per cento. Gli ultimi dati Istat mostrano che i prezzi delle polizze, pur rimanendo molto più alti della media Ue, sono in calo da oltre un anno. Urgente quindi, per gli operatori del settore, trovare fonti alternative di introiti. Anche perché le ultime manovre per abbassare le spese di risarcimento dei danni Rc Auto sono andate a vuoto. E il comparto della salute ha tutte le caratteristiche per essere un perfetto candidato. Innanzitutto si parte da un tasso di copertura molto basso: in base agli ultimi dati della Banca d’Italia solo il 4,3% delle famiglie ha una polizza di questo tipo (in calo rispetto al 5,5% del 2010). In più, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dell’incidenza di alcune patologie e il crescente ricorso alla diagnostica preventiva fanno crescere la domanda. Proprio mentre la necessità di contenere le uscite pubbliche favorisce l’offerta privata. Ecco spiegato perché negli ultimi anni i big delle assicurazioni si sono tanto impegnati nel promuovere ricerche sulla sanità integrativa. Sia Unipol sia Rbm, in collaborazione con il Censis (che nel suo cda conta tra gli altri l’ad della compagnia delle coop, Carlo Cimbri) a partire dal 2011 hanno sfornato rapporti ad hoc con cadenza annuale. Le conclusioni di questi studi? La spesa sanitaria pubblica è al palo e il Ssn è inefficiente, di conseguenza gli italiani pagano troppo di tasca propria. E per uscire dall’impasse occorre sviluppare il “secondo pilastro”.

Il ruolo degli enti locali – Ricapitolando, il “piatto” della spesa privata intermediata è ripartito tra assicurazioni, fondi integrativi e mutue. Governo e Parlamento intendono incentivare soprattutto i fondi sanitari integrativi aperti, cioè quelli a cui possono liberamente iscriversi tutti i cittadini e non solo, come nel caso dei fondi chiusi, chi appartiene a una certa categoria professionale o lavora in una determinata azienda. L’idea, stando a quanto anticipato dal ministro Lorenzin, è quella di stimolare la nascita di fondi “con una forte compartecipazione degli enti locali”: il decreto del 1992 che ha introdotto in Italia questi strumenti prevede infatti che anche Regioni ed enti territoriali, proprio come i sindacati di categoria, possano istituire fondi integrativi.

L’interesse delle Coop – Finora però il modello non è decollato. L’unico caso è Sanifonds, lanciato l’anno scorso dalla provincia di Trento, ma riservato ai lavoratori dell’artigianato. Nel frattempo però c’è chi si sta muovendo, sempre a livello territoriale, senza aspettare gli enti locali. Si tratta dell’universo delle cooperative, che sulla sanità ha messo gli occhi già da qualche tempo: nel giugno 2012, quando a presiederla era ancora Giuliano Poletti, oggi ministro del Lavoro, Legacoop – grande azionista del gruppo Unipol – ha lanciato il progetto Salute. Obiettivo, sviluppare una “proposta cooperativa integrativa all’intervento pubblico: una rete di servizi socio-assistenziali, sanitari e mutualistici diffusi sul territorio”. Proprio quello che oggi il governo sta promuovendo. In Liguria su impulso della Legacoop regionale e della Federazione Italiana della Mutualità Integrativa Volontaria (Fimiv), “lobby” delle società di mutuo soccorso, è nata nel 2013 Mutua Ligure, che gestisce un fondo integrativo aperto a tutti i residenti in regione. I soci a oggi sono circa 6mila e si punta a ampliarli coinvolgendo i dipendenti delle coop sociali, il cui contratto nazionale solo da due anni prevede l’assistenza sanitaria integrativa. A garantire le prestazioni è in gran parte una mutua partner, la Cesare Pozzo, una potenza del settore (è responsabile tra l’altro del fondo sanitario aziendale di Fincantieri e del Piano sanitario integrativo per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato). Altri servizi sono forniti dalle strutture della Rete sanitaria ambulatoriale ligure e da Ima Italia Assistance, del gruppo francese Inter Mutuelles Assistance.

Il caso di Faremutua in Emilia – Ma è in Emilia Romagna l’esperienza più strutturata “figlia” di Legacoop salute: Faremutua, nata nel febbraio 2013 dall’unione di nove mutue territoriali con CoopAdriatica e Coop Nordest. Obiettivo, spiegava all’epoca il presidente Marco Gaiba, “aiutare nell’accesso ai servizi, tutelando e salvaguardando il diritto alla salute”. Sfruttando anche “la rete dei punti vendita Coop per promuovere prodotti e servizi”. Quanto alle prestazioni sanitarie, nella prima pagina della “guida pratica per il socio” si legge che tutte sono erogate “sulla base di specifiche convenzioni con la compagnia assicuratrice Unisalute spa”. Ovvero l’assicurazione sanitaria del gruppo UnipolSai, di cui come è noto le coop, attraverso la cassaforte Finsoe, sono grandi azioniste. “UniSalute”, si legge nel documento, “ha predisposto per i soci un sistema di convenzionamenti con strutture sanitarie private”. Le prenotazioni si possono fissare indifferentemente su www.unisalute.it o www.faremutua.it, mentre l’unico riferimento telefonico è il numero verde di Unisalute. “Unisalute fornisce i servizi, noi paghiamo con i contributi dei soci o delle cooperative aderenti”, conferma Gaiba a ilfattoquotidiano.it. “Lavorare con altre compagnie? In questo momento no, in compenso intendiamo mettere a disposizione piani sanitari aperti a tutti con prestazioni erogate da cooperative sociali”. La precisazione “aperti a tutti” è d’obbligo perché oggi, di fatto, i 15mila iscritti sono tutti dipendenti di cooperative sociali. Dodicimila arrivano da CoopAdriatica, Coop Nordest e Coop Reno, altri 3mila si sono “aggregati” dopo la recente incorporazione di Insieme Salute Romagna di Forlì e Mutua Futura di Ravenna.

Quanto a Unisalute, tra le compagnie controllate da Unipol è stata quella che nei primi sei mesi del 2014 ha dato il contributo più positivo alla raccolta premi, scesa nel complesso a 4,7 miliardi contro gli oltre 5 dello stesso periodo nel 2013 (-6,8%): 163 milioni di euro, “in crescita del 9,1% rispetto al primo semestre 2013 e in controtendenza rispetto alla performance del mercato”, spiega la nota del gruppo sui conti semestrali.

Articolo Precedente

La sanità pubblica per tutti? Un ricordo. Ma il governo non lo ammette

next
Articolo Successivo

Eni, bioraffineria di Gela a rischio dopo stop della Regione a ricerca petrolio

next