L’annuncio del disegno di legge n. 2528 presentato alla Camera dei Deputati dagli Onorevoli Boccadutri, Bruno Bossio, Ernesto Carbone, Losacco, Migliore e da altri novanta – e più – loro colleghi ha fatto in pochi giorni il giro del web e come spesso accade, in questi casi, ha acceso un dibattito tra favorevoli e contrari.

La proposta, d’altra parte, è una di quelle che, in Italia, non poteva passare inosservata.

Dopo che per quasi un decennio una legge antiterrorismo ha frenato la diffusione del wifi pubblico nei bar e nei ristoranti, imponendo ai gestori di chiedere la carta d’identità ai clienti prima di lasciarli collegare ad Internet, oggi in Parlamento ci si spinge addirittura ad ipotizzare che i gestori di tutti gli esercizi commerciali siano obbligati a condividere il proprio wifi con i clienti e sia loro vietato identificare gli avventori.

Un’autentica rivoluzione copernicana.

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Sono bastate una manciata di ore perché la Rete si dividesse.

Da una parte i fautori della proposta di legge e dall’altra gli oppositori.

Gli uni e gli altri con buoni argomenti.

Internet non è il bene assoluto, lo Stato non può intervenire a gamba tesa sul mercato, i comportamenti virtuosi dei gestori degli esercizi commerciali vanno incentivati ma non possono essere imposti, si è scritto, da più parti, contro il disegno di legge. E’ difficile rispondere a chi obietta che non c’è ragione per la quale un bar o un ristorante – ma secondo il disegno di legge anche un calzolaio o un meccanico se di dimensioni superiori ai cento metri quadrati – dovrebbe affrontare dei costi per mettere Internet a disposizione della propria clientela o che molti imprenditori hanno fatto della fornitura a pagamento di connettività via wifi, il proprio business. E’ tutto vero. E’ tutto giusto. E, forse, in un Paese ideale o, semplicemente, normale è tutto giusto.

Non tocca allo Stato sostituirsi al mercato, né intervenirvi alterandone le dinamiche e non è compito dello Stato promuovere l’utilizzo da parte dei cittadini di questo o quello strumento di comunicazione. Ma il punto è che l’Italia, oggi, quando si parla di Internet, digitale ed innovazione non è un Paese ideale e, a ben vedere, non è neppure un Paese normale.

L’italia, assieme alla Germania ed al Giappone, è uno dei paesi più vecchi al mondo. Il 34% della popolazione italiana non ha mai usato Internet contro una media europea del 20% mentre, nel nostro Paese, ad usare regolarmente Internet è solo il 56% della popolazione contro una media europea del 72%. Significa che sono oltre 20 milioni i cittadini italiani che non hanno mai usato Internet e oltre 25 milioni quelli che non lo utilizzano regolarmente.

Siamo – e lo raccontano impietosamente i numeri pubblicati dalla Commissione europea a proposito dello Stato di attuazione dell’agenda digitale – il fanalino di coda dell’Unione europea in fatto di diffusione e di utilizzo di Internet sia da parte dei cittadini che da parte delle imprese. In un contesto di questo genere, probabilmente, diventa lecito e, anzi, auspicabile un intervento dello Stato che, in un contesto diverso, sarebbe illegittimo o, almeno, inopportuno e fuori luogo.

C’è bisogno di dichiarare guerra al più temibile e pericoloso dei tanti “divari digitali” che affliggono il Paese ovvero quello dell’ignoranza digitale, quello determinato da chi – e non per sua colpa – non ha ancora capito che Internet rappresenta e rappresenterà sempre di più un irrinunciabile strumento di cittadinanza digitale e che senza – specie semmai l’Italia dovesse avere davvero una Pubblica Amministrazione digitale – presto non si potranno più esercitare i più elementari diritti di cittadinanza.

Quella che c’è da combattere è un’autentica guerra contro l’analfabetismo digitale, una battaglia che ha analogie forti con quella che si ritenne sacrosanto combattere, in nome della democrazia, contro l’analfabetismo dilagante nel nostro Paese, comprendendo che se quella battaglia non si fosse combattuta e vinta, l’Italia non sarebbe mai diventata la Repubblica democratica che oggi, con tutti i suoi limiti ed acciacchi, è.

Non si tratta di voler posare l’aureola sulla testa della Rete – ammesso che ne abbia una – ma bisogna dirsi francamente che senza una connessione a Internet, nella società dell’informazione, non si può essere cittadini digitali e, quindi, non si può essere cittadini. Milioni di cittadini italiani, in altri tempi, hanno letto per la prima volta un giornale, ascoltato la prima volta una radio o guardato un telegiornale, in un bar, un ristorante, un albergo o un altro qualsiasi esercizio pubblico. E’ così che hanno scoperto l’importanza di informarsi per poter partecipare in modo consapevole ed effettivo alla vita democratica del Paese.

E’ arrivato il momento di offrire a decine di milioni di cittadini italiani la possibilità di scoprire Internet nello stesso modo, al bar, al ristorante, nelle stazioni, negli alberghi o negli uffici pubblici.

Ovviamente è solo un disegno di legge che porta ancora il segno di piccole e meno piccole sviste e che richiede ancora qualche limatura e correzione di tiro ma la strada è quella giusta o, almeno, quella che dobbiamo per forza percorrere per traghettare il Paese dall’altra parte del guado analogico nel quale lunghe ed interminabili stagioni di politica miope ed anti-innovazione lo hanno abbandonato.

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