Trasferire da subito nella busta paga dei lavoratori il 50% del trattamento di fine rapporto (Tfr) che si matura ogni anno. Secondo Il Sole 24 Ore il governo di Matteo Renzi sta studiando la fattibilità dell’operazione, che potrebbe entrare nella legge di Stabilità, con l’obiettivo di far ripartire i consumi aumentando il reddito delle famiglie. Peccato che la sola ipotesi faccia rabbrividire Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che del quotidiano economico è l’editore. “E’ una situazione molto complessa” e “bisogna vedere quale drenaggio in termini di liquidità verrà fuori sulle imprese”, ha subito avvertito Squinzi. Già, perché le aziende con meno di 50 dipendenti possono tenersi in pancia integralmente i soldi del Tfr fino al momento in cui devono versarli al lavoratore. E utilizzarli come fonte di finanziamento. Consentire al legittimo destinatario di battere cassa prima del previsto, dunque, equivale a sottrarre al sistema produttivo un “tesoretto” prezioso che vale nel complesso (comprese le grandi aziende, i cui dipendenti possono scegliere se trasferire la somma a un fondo pensione) 25-26 miliardi l’anno. Ecco perché lo stesso Sole spiega che “resta da sciogliere il nodo delle compensazioni alle aziende”. Che sia per l’intervento di Squinzi o perché il piano è di difficile realizzazione, a stretto giro il sottosegretario al Mef e deputato di Scelta Civica Enrico Zanetti ha smentito la ricostruzione del quotidiano, sostenendo di non aver “mai sentito parlare al Mef di ipotesi concernenti il Tfr in busta paga ai dipendenti”. Meno tranchant, però, il viceministro dell’Economia Enrico Morando, che ha solo detto di “non aver studiato la proposta”.

L’ipotesi del governo – La misura, scrive il quotidiano di Confindustria, “durerebbe da uno fino a un massimo di tre anni, inizialmente solo per i dipendenti privati”, e la scelta se chiedere o meno la liquidazione del 50% spetterebbe al lavoratore. 

Come funziona l’accantonamento del Tfr – In pratica ogni anno viene accantonato dall’azienda circa un mese di retribuzione. Dopo 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro i lavoratori possono chiedere al datore di lavoro un’anticipazione fino al 70% del Tfr maturato alla data della richiesta per spese sanitarie straordinarie, per la formazione o per l’acquisto della prima casa per sè o per i figli. L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro.

La previdenza integrativa – Il Tfr può essere utilizzato per alimentare la propria prestazione previdenziale versandolo a un fondo di previdenza integrativa. Dal 2007 è cambiata la normativa con l’introduzione del silenzio assenso. Chi non dice esplicitamente come vuole utilizzarlo avrà il proprio Tfr versato al fondo previdenziale di categoria. Si può con una comunicazione all’azienda lasciare il proprio Tfr nell’impresa. Per le imprese con oltre 50 dipendenti il Tfr maturando viene versato in un fondo presso l’Inps gestito dal ministero dell’Economia (ci vanno circa sei miliardi l’anno) ma per il dipendente non cambia nulla, se ha chiesto di lasciarlo presso l’impresa una volta concluso il rapporto di lavoro riceverà direttamente l’intero importo maturato.

La rivalutazione e le tasse – Per il Tfr maturato prima della decisione sul versamento ai fondi pensione e per chi lo lascia in azienda la rivalutazione è fissata all’1,5% annuo fisso al quale si aggiunge il 75% dell’inflazione. Per chi ha il Tfr nei fondi integrativi il montante si rivaluta sulla base degli investimenti fatti (su base più o meno prudente). Al momento in cui si riceve il Tfr l’importo viene tassato con l’aliquota relativa alla media del proprio stipendio degli ultimi cinque anni. Viene inoltre tassato il rendimento del Tfr (l’1,5% più il 75% dell’inflazione) all’11%. 

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