Contenere il debito ma soprattutto ripensare l’intervento pubblico nell’economia, la cui estensione oggi è incompatibile con i vincoli di bilancio. Sì a investimenti statali, ma solo nei settori strategici. Rivedendo perfino i servizi alla collettività. A lanciare l’allarme e a preparare così il terreno verso un taglio del welfare, è stata la Corte dei Conti, nel Rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2013. Nel quale i giudici contabili invitano anche a ridistribuire il carico fiscale in modo più favorevole a lavoro e impresa e affrontare una corruzione dilagante da cui “nessun organismo e nessuna istituzione possono ritenersi indenni”.

Scrive la Corte presieduta da Raffaele Squitieri che “il peso del debito accumulato in passato rende il nostro Paese più vulnerabile”. In questo contesto sarà necessario definire “metodologie di lavoro coerenti con il mutato quadro ordinamentale, europeo ed interno”, ha detto il magistrato contabile a proposito degli effetti del Fiscal compact sul quadro normativo italiano e del suo recepimento in Costituzione, in seguito al quale “entrano a far parte della Carta fondamentale del nostro Paese vincoli particolarmente stringenti, come l’equilibrio di bilancio strutturale e la sostenibilità del debito pubblico, in linea con l’assetto ordinamentale adottato in sede europea”. 

Il bilancio pubblico deve avere “meno spese e meno entrate” – Ma prima ancora, avvertono i giudici contabili, occorre affrontare un problema a monte: il ‘perimetro’ stesso dell’intervento pubblico nell’economia va ridotto. Perché “appare oggi di un’estensione incompatibile con i vincoli presenti e prossimi venturi”. Quel che serve non è dunque solo una revisione della spesa, ma “un bilancio pubblico con meno spese e meno entrate”. L’aspetto più critico, “in vista di un percorso di riequilibrio dei conti ancora gravoso e in presenza di una crescita economica limitata”, è proprio la “riluttanza anche solo a ragionare” su un’ipotesi di questo tipo. Ipotesi che, al contrario, andrebbe perseguita con decisione. Nella pubblica amministrazione, insomma, non serve solo un’azione di razionalizzazione e di tagli degli sprechi ma anche di ”ripensamento dei confini entro cui opera l’amministrazione pubblica, delle modalità di prestazione dei servizi alla collettività e delle modalità di accesso agli stessi in un contesto sociale e demografico profondamente mutato”. 

Al contrario, nelle manovre di bilancio adottate finora “si è sostanzialmente operato in una sorta di disconnessione tra la conservazione di un impatto neutrale sui saldi da una parte e la movimentazione di ampie risorse finanziarie dall’altra”. E “anche nell’impostazione della legge di stabilità del 2014” gli interventi appaiono “frammentari” e il disegno di fondo “non chiaramente ricostruibile”.

Sì a investimenti ma solo nei settori strategici e per rilanciare produzione – Sì a un minor intervento statale, quindi, ma non un totale disimpegno. Anzi, investimenti pubblici nei settori strategici potrebbero favorire il rilancio della produzione. Accompagnati, però, da un riequilibrio della pressione fiscale. Il rendiconto mostra infatti come nel periodo 2010-2013 le amministrazioni pubbliche abbiano ridotto dell’1,4% la spesa al netto degli interessi. “Riduzione, quest’ultima, che mentre ha consentito la sostanziale complessiva stabilità della spesa lo ha fatto a danno del mantenimento e rinnovamento del capitale infrastrutturale del Paese”. E tagliare le tasse non potrebbe che far bene visto che la recessione e la conseguente erosione delle basi imponibili hanno già determinato, lo scorso anno, un calo delle entrate tributarie (-0,7%). “La Corte dei Conti ha più volte rilevato che il livello di prelievo tributario è eccessivo e mal distribuito; per parte nostra non possiamo comunque non richiamare i riflessi negativi, per l’apparato produttivo, di un sistema fiscale non proporzionato e non equo”.

Ridistribuire il carico fiscale senza aspettare recuperi da evasione – Nel 2013 la pressione fiscale è calata di “due decimi di punto”, ha detto Enrica Laterza, presidente di coordinamento delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte. Ma al taglio “non si è accompagnata una redistribuzione del carico tributario, intesa a favorire i fattori produttivi (redditi da lavoro e da impresa)”, un’operazione “decisiva anche nell’ottica della ripresa dell’economia”. Secondo la Corte “è improprio subordinare” questo tipo di redistribuzione “a recuperi di gettito (da evasione, da erosione, da mancata riscossione) sempre richiamati, ma che si rivelano largamente incerti nei tempi e nelle dimensioni”.

Corruzione “può attecchire ovunque” – A lanciare l’allarme sulla corruzione, che “può attecchire dovunque”, è stato invece il procuratore generale Salvatore Nottola, secondo il quale “nessuna istituzione che abbia competenze pubbliche può ritenersi scevra di responsabilità di fronte al suo dilagare”. Un chiaro riferimento all’attualità, quello dei giudici contabili: Expo 2015 con i suoi recenti scandali, ha detto Nottola, è “un caso emblematico” di deroghe a norme e controlli, “smantellati in base alla motivazione della somma urgenza ovvero dell’emergenza, che giustificano deroghe ai codici degli appalti e ai principi della concorrenza, nonché l’abolizione di controlli preventivi e di gestione”, ha osservato ancora il pg, “anche attraverso il sistema di estendere ai cosiddetti ‘grandi eventi’ la normativa speciale per la Protezione civile. Un esempio è proprio l’Expo di Milano 2015”.

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