Non solo bad bank, ma anche pesanti riduzioni di filiali. Per Unicredit il nuovo piano industriale, che sostituirà quello del 2011 e definirà gli obiettivi al 2018, è a tutti gli effetti un progetto di ristrutturazione i cui dettagli saranno svelati martedì 11 marzo. Ma di cui il mercato ha già intuito le potenzialità in termini di risparmio di costi come testimonia l’incremento del titolo a Piazza Affari di quasi il 3 per cento. A favorire il titolo è anche la possibilità emersa sul finire di settimana scorsa che il nuovo piano contepli la quotazione del 25-30% di Fineco. Su Unicredit si sono espressi inoltre gli analisti di Jp Morgan alzando il prezzo obiettivo da 6,12 a 7,20 euro.

Del resto, sul fronte dei tagli, la banca guidata da Federico Ghizzoni è in buona compagnia. Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha già convocato il sindacato dei dirigenti, Dircredito, per segnalare che dei mille manager presenti in azienda ben 200 sono in esubero. E, nei desiderata della banca, dovrebbero lasciare il gruppo nei prossimi diciotto mesi. Solo 130 di loro, però, hanno maturato i requisiti per la pensione. Per i restanti 70 la banca ha intenzione di concordare l’uscita. Operazione che però non è affatto in discesa. Tanto è vero che Dircredito, il sindacato dei dirigenti, ha già fatto sapere che l’obiettivo di 200 esuberi è eccessivo e ha invitato l’azienda a ridimensionarlo.

Difficile tuttavia, in questa fase, trovare compromessi con gli istituti bancari alle prese con la quadratura dei conti all’interno delle nuove norme comunitarie che richiedono maggiore solidità patrimoniale. La situazione è tesa da tempo: l’Associazione bancaria italiana ha già disdettato anticipatamente (lo scorso 16 dicembre) e in maniera unilaterale il contratto nazionale di categoria in scadenza naturale a fine giugno. Una mossa realizzata con l’obiettivo di “accelerare i tempi di un rinnovo che si conferma complesso”.

Ad oggi le posizioni fra banche e sindacati si confermano infatti molto distanti: gli istituti di credito parlano di un sistema che necessita 200mila esuberi, mentre le organizzazioni di categoria non vogliono scendere sotto quota 300mila. Ed è chiaro che nella battaglia avranno un peso specifico importante i risultati realizzati dalle banche nel 2013. La debolezza dei bilanci, qualora fosse sistemicamente riscontrata, giocherebbe a favore di interventi duri da parte degli istituti di credito che, anche per via dell’enorme mole di titoli di Stato in portafoglio, godono dell’attenzione del governo di Matteo Renzi.

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