L’Autorità bancaria europea (Eba) rende noti alcuni parametri con cui verranno condotti gli stress test sui bilanci bancari e i 15 istituti italiani coinvolti tirano un mezzo sospiro di sollievo. I livelli di patrimonializzazione richiesti appaiono infatti un po’ meno severi di quanto pronosticato anche se per avere un quadro completo bisognerà attendere aprile, quando si conosceranno tutti i dettagli con cui verrà effettuata la prova sotto sforzo dei bilanci bancari. L’Eba ha comunicato che in situazioni normali verrà chiesto alle banche di raggiungere un “core tier 1” (ossia la parte più “pregiata” del capitale di una banca) pari all’8% degli attivi ponderati per il livello e almeno del 5,5% nello scenario di difficoltà economica simulata con gli stress test.

Al momento quasi tutte le banche italiane coinvolte superano o si avvicinano molto al livello dell’8% (Unicredit, Intesa SanPaolo, Ubi, Mps, Mediobanca sono sopra all’11%, più in difficoltà Popolare Milano e Veneto Banca, intorno al 7 per cento). Nei giorni scorsi le dichiarazioni del presidente della Bce Mario Draghi avevano fatto correre qualche brivido ai piani alti dei principali istituti europei. Il numero uno dell’Eurotower aveva infatti affermato che a seguito degli stress test le banche più deboli sarebbero probabilmente uscite dal mercato. Eba e Bce sono congiuntamente impegnate nella “asset quality review” e nei successivi stress test. La prima è un’operazione di attenta analisi dei bilanci bancari, della qualità dei loro attivi, dei criteri e della severità con cui si contabilizzano i crediti in sofferenza che rischiano di andare perduti.

Gli stress test sono invece una simulazione degli effetti che situazioni di crisi come il default di uno Stato o una severa recessione potrebbero produrre sui conti di una banca. L’obiettivo è quello di stimare la necessità di capitali aggiuntivi che permetterebbero alla banca di sopravvivere alla crisi ipotizzata qualora dovesse effettivamente concretizzarsi. Sono due tappe del cammino che dovrebbe portare alla creazione di un’unione bancaria con un’unica autorità di vigilanza (la Bce) e un unico meccanismo di salvataggio delle banche in difficoltà. Eba e Bce devono muoversi su un crinale stretto. Imporre test e livelli di patrimonializzazione troppo rigorosi rischia infatti di provocare un’ulteriore stretta creditizia in una fase in cui i finanziamenti all’economia vengono ancora erogati con il contagocce e la qualità del credito continua a peggiorare.

Il centro studi Prometeia ha intanto stimato che la crescita delle sofferenze che gravano sulle banche italiane rallenta ma che i crediti malati saliranno dai 150 miliardi attuali a 160 miliardi del 2016. Un incremento di 10 miliardi che non sorprende se si pensa che generalmente i cosiddetti “non performing loan” (attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori) iniziano a diminuire 18/24 mesi dopo l’inizio di una ripresa. D’altro canto l’utilizzo di criteri troppo benevoli mina la credibilità dei test e non aiuta il rafforzamento del sistema bancario. Qualcosa di simile era avvenuto nel 2011 quando gli stress test si conclusero in un flop con gli scenari avversi simulati che alla fine si rivelarono più ottimistici della crisi che stava effettivamente colpendo i Paesi europei.

Per le banche italiane un grosso punto interrogativo è rappresentato dal trattamento che i test riserveranno ai titoli di Stato. Solo le prime cinque banche italiane ne detengono infatti in portafoglio l’equivalente di 170 miliardi di euro, seppur con una durata media limitata, pari a circa tre anni. Nel 2011 lo stress test riguardò unicamente i titoli detenuti a bilancio con la classificazione “held for trading”, ossia che la banca ritiene di poter vendere in qualsiasi momento e su cui di conseguenza si applica una valutazione in base si prezzi di mercato.

Di solito questo tipo di titoli non rappresenta però più del 10% di tutti i bond statali posseduti da una banca. Questa volta dovrebbero essere “stressati” anche i titoli classificati “aviabile for sale” e “held to maturity” che rappresentano in media il rimanente 80 e 10% dei portafogli. L’Eba ha fatto sapere che gli “aviable for sale” verranno a loro volta valutati a prezzi di mercato ma che l’impatto sul capitale dipenderà dalle scelte del supervisore. Insomma tutto e niente. Anche perché la Bce non sembra aver ancora assunto una posizione definitiva su questo punto con i rappresentanti tedeschi che spingono per l’adozione di criteri di valutazione più severi.

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