Nuovo stop al progetto di riconversione della Centrale di Porto Tolle, affare milionario che dopo 9 anni non riesce a superare il vaglio delle autorizzazioni ambientali. Non sarà per via dell’entità del risarcimento (3,6 miliardi di euro) per danni ambientali e sanitari raccontata due giorni fa dal fattoquotidiano.it e neppure le 100mila firme raccolte da Ilaria, 27enne affetta da Linfoma di Hodgkin, per dire un “no” secco all’operazione. Fatto sta che il progetto di conversione della centrale ha ricevuto oggi una nuova bocciatura: il Ministero dell’Ambiente ha emesso un provvedimento “interlocutorio-negativo” al termine della Valutazione di impatto ambientale (Via) rilevando “gravi carenze e contradditorietà” e invitando Enel a ripresentarlo da capo, insieme a un nuovo studio di impatto ambientale. La procedura dovrà ripartire dunque dall’inizio, con buona pace dei tanti che – anche in sede politica – si sono spesi per perorare una rapida risoluzione dell’iter, facendo leva anche su argomentazioni estranee alla questione ambientale, come la tutela del quadro energetico nazionale e dell’occupazione dei lavoratori di Polesine Camerini. La società in serata ha diramato una nota nella quale prende atto del parere negativo e ribadisce “l’importanza strategica del sito di Porto Tolle”.

 

Il parere della Commissione VIA-VAS del Ministero  riassume in 145 pagine l’evoluzione del progetto la cui storia è costellata di prescrizioni, ricorsi, via libera e bocciature. Il progetto industriale risale al 2005 e prevede la conversione dell’impianto con la realizzazione di tre nuove caldaie da 660 Mwe ciascuna alimentate a polverino di carbone e biomassa, in sostituzione delle quattro esistenti di analoga potenza, alimentate a olio combustibile denso. Un’operazione che richiede un investimento importante, lievitato negli anni a 2,7 miliardi di euro, che la politica ha cercato di agevolare, in particolare a seguito dell’accordo tra Regione Veneto  e Ministero dello Sviluppo Economico a sostengono del via libera. Il primo decreto favorevole alla conversione è datato 29 aprile 2009, ma due anni dopo viene annullato dal Consiglio di Stato che accoglie un ricorso dei consorzi turistici, pescatori, WWF, Greenpeace, Italia Nostra e comitato dei cittadini di Porto Tolle. Tutti convinti che la trasformazione a carbone avrebbe ulteriormente aggravato il quadro ambientale e sanitario già compromesso dell’area e del Parco del Delta del Po in cui l’impianto è realizzato. 

I giudici lo accolgono evidenziando due criticità su tutte: l’incertezza nell’istruttoria di Via (Valutazione di impatto ambientale) sul “pari o inferiore impatto della centrale a carbone rispetto alle possibili alternative, in particolare quella a gas metano” e la “violazione del principio di precauzione conseguente lo scostamento tra le prescrizioni imposte ad Enel per quel che attiene taluni inquinanti (in specie il monossido di carbonio) e le linee guida comunitarie relative ai grandi impianti di combustione”. Così si riparte da capo. E mentre le Procure e il Tribunale di Rovigo avviano inchieste e processi per disastro ambientale in soccorso all’operazione intervengono il legislatore nazionale e regionale che riaprono i giochi rimuovendo, di fatto, l’obbligatorietà di fare valutazioni alternative rispetto al progetto presentato.

Il Ministero chiede un nuovo parere al Consiglio di Stato e dispone, nel frattempo, la sospensione del procedimento autorizzativo. Si riparte a novembre 2012 quando Enel inoltra un aggiornamento dello studio di impatto ambientale e gli elaborati del progetto. Un anno dopo arriva il parere della Commissione Tecnica di verifica VIA-VAS che evidenzia ancora criticità e chiede in sostanza a Enel di ripresentarlo da capo, integralmente e non per singole integrazioni e modifiche. Intanto a Rovigo va avanti il processo “Enel bis” e una perizia depositata a novembre dai tecnici dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) quantifica un’ipotesi di risarcimento per le emissioni in eccesso dal 1998 al 2009 pari a 3,6 miliardi: 2,6 miliardi di danni sanitari, essenzialmente per la mortalità in eccesso, più un miliardo per omessa ambientalizzazione.

E siamo all’oggi, con il decreto che in due articoli stabilisce che (art. 1) Enel Produzione dovrà esibire la documentazione per riavviare il procedimento di valutazione e (art. 2) che questa richiesta “costituisce pronunciamento interlocutorio negativo circa la compatibilità ambientale del progetto”. E annulla, di conseguenza, il primo via libera riavvolgendo il nastro al 2009. Cinque anni dopo è tutto da rifare e ora la palla passa al colosso energetico che ha 60 giorni per fare ricorso al Tar e 120 per il ricorso al Capo dello Stato.

“Enel ora deve dire con grande chiarezza – dichiarano ancora Greenpeace, Legambiente e WWF – se intende insistere sulla strada del carbone o se vuole trasformarsi in un’azienda moderna, sostenibile, compatibile con lo sviluppo del Paese: dunque abbandonare la conversione di Porto Tolle così come pensata sin qui. Pochi mesi or sono, cancellando un altro suo progetto a carbone in Romania, l’azienda dichiarava di volersi sviluppare con ‘meno carbone e con più soluzioni intelligenti’. Questo deve valere anche in Italia. Enel vuole rappresentare ancora il problema o vuole diventare parte della soluzione?”.

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