A dieci anni dal crac Parmalat perfino le associazioni a tutela dei consumatori fanno fatica a tenere i conti in tasca ai risparmiatori truffati da Calisto Tanzi. “Non è facile dopo così tanto tempo”, ammette Francesca Arnaboldi, vicepresidente nazionale di Confconsumatori, provando a ricostruire quanto hanno recuperato gli investitori, mentre il presidente del Codacons non prova neanche a sbilanciarsi sulle cifre. Un aspetto, tuttavia, è sicuro: buona parte di chi aveva investito nell’azienda di Collecchio è ancora all’asciutto. Secondo il presidente dell’Adusbef, Elio Lannutti: “Tra 70 e 80 mila risparmiatori coinvolti hanno recuperato solo il 50% di 7 miliardi di euro investiti”, afferma. “E, per quelli che non hanno ancora ricevuto niente, non ci sono più possibilità”.

Ad uscirne con le ossa rotte è stato sicuramente chi aveva investito i risparmi in azioni Parmalat prima del crac, che ha perso praticamente tutto. Agli obbligazionisti, invece, ci ha pensato il commissario straordinario Enrico Bondi, che dopo la bancarotta  ha distribuito le azioni della nuova Parmalat ritornata in Borsa, in cambio dei bond da macero. In questo modo, però, chi aveva comprato le obbligazioni, cioè l’investimento prudente per eccellenza, si è trasformato in giocatore di Borsa. A ritrovarsi da un momento all’altro con le azioni in mano sono stati soprattutto i pensionati, convinti dalle banche a investire la liquidazione in una azienda “che non potrà mai fallire”. E con quali risultati? Chi aveva puntato tra 5 e 10mila euro, ipotizzando che abbia venduto le azioni a 2,6 euro (ovvero il prezzo al momento dell’Opa con cui i francesi di Lactalis hanno rilevato Collecchio nel 2011), ha recuperato soltanto il 48 per cento. E la percentuale va via via calando con l’aumentare dell’investimento, fino al 31% recuperato da chi ha aveva investito 100mila euro, visto che l’offerta di Bondi prevedeva che chi aveva obbligazioni oltre una certa soglia avrebbe ricevuto un numero inferiore di azioni.

A questa percentuale occorre aggiungere il risarcimento che i risparmiatori più fortunati hanno ottenuto grazie alle azioni legali intraprese nei confronti dei vertici di Parmalat o delle banche che avevano venduto i titoli. “La situazione per quanto riguarda i 32mila componenti del comitato clienti SanPaolo (oggi Intesa SanPaolo, ndr) costituiti parte civile con la mia assistenza è tutto sommato confortante”, afferma l’avvocato Carlo Federico Grosso, secondo il quale “considerando l’ammontare percepito dalle transazioni con le banche coinvolte e le somme che ciascuno degli obbligazionisti costituiti ha ottenuto per effetto del concambio delle obbligazioni con azioni della nuova Parmalat, possiamo stimare che complessivamente i nostri assistiti che hanno aderito a tutte le transazioni, ovvero il 90%, hanno avuto un ritorno medio di circa il 70-75 per cento”.

Grosso calcola che tale percentuale sia in linea con quanto hanno incassato i risparmiatori che si sono rivolti ad altre associazioni. E, in effetti, i conti tornano. Gli avvocati di Confconsumatori hanno costituito circa 2mila associati come parte civile negli otto procedimenti penali di Milano e Parma e, “grazie alle transazioni con i soggetti coinvolti, è stato possibile recuperare il 30% del capitale investito”, senza considerare quanto ottenuto dal concambio in azioni, fa sapere la vicepresidente Arnaboldi, sottolineando che “tra cause civili e penali oggi abbiamo consentito ai risparmiatori truffati di recuperare poco più di 11 milioni di euro”. Preferisce non sbilanciarsi sulle cifre, invece, il presidente del Codacons, Marco Donzelli, che sostiene di non essere in grado di fare numeri o percentuali sui risarcimenti ottenuti, ammettendo che “nell’ambito del processo penale non è stato recuperato praticamente niente”, perché “è arrivata la condanna ma chi è stato condannato non aveva soldi per i risarcimenti”. Nessuna risposta anche da Claudio Coratella, avvocato che si è occupato di seguire il caso per conto del Codacons, che fa soltanto sapere di avere seguito 500-600 risparmiatori costituiti parte civile, mentre “è complicato ricostruire quale sia la percentuale effettivamente risarcita”.

Avvocati e associazioni di consumatori che hanno difeso i risparmiatori coinvolti nella bancarotta concordano invece sul fatto che se le leggi che regolamentano la class action, ovvero l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori, fossero state più severe, gli ex obbligazionisti di Parmalat non si troverebbero in questa situazione. “Se ci fosse stata una vera legge ora probabilmente chi ha puntato su Parmalat sarebbe già stato risarcito”, afferma Lannutti, sottolineando che “in Italia la legislazione è ad uso e misura delle banche e non dei risparmiatori”. Per questo nel caso di Collecchio “non c’è stata la possibilità di fare una class action come negli Stati Uniti, dove non solo è stato possibile il recupero integrale delle perdite ma anche il risarcimento del danno sotto forma di sanzioni decise dalle autorità”. Il presidente dell’Adusbef precisa poi che il progetto della legge che regolamenta la class action era inizialmente diverso, ma “è stato totalmente storpiato, svuotato di contenuti dal governo Berlusconi”.

La norma prevede infatti diversi vincoli per esercitare un intervento collettivo, a partire dal fatto che i consumatori riuniti nell’azione collettiva devono presentare situazioni identiche. “Una situazione in cui è praticamente impossibile imbattersi”, afferma Arnaboldi, precisando che “questa legge così com’è fa ridere ed è evidente che non la si voglia rendere funzionale”. E anche Grosso conferma che “la legge attuale ha molti limiti” e che “con una class action regolamentata come negli Stati Uniti ci sarebbero stati sicuramente più risarcimenti”, in quanto “sarebbe stato più agevole da un punto di vista processuale gestire un numero così elevato di risparmiatori”.

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