Un miliardo e trecento milioni di debiti complessivi. Cento milioni di perdite ogni anno. Benvenuti nell’Italia dei piccoli, inutili e dannosi aeroporti, di cui è costellata la Penisola. Se le società di gestione fossero delle aziende private, molte avrebbero già dovuto portare i libri in tribunale. E invece questo non accade. I piccoli scali resistono, pagati da noi. Perché nella grandissima parte dei casi hanno una compagine sociale composta prevalentemente da enti pubblici, che puntualmente ogni anno ripianano le perdite frutto di gestioni a dir poco fallimentari. Comuni, province e regioni che per grotteschi e campanilistici calcoli politici da anni preferiscono buttar via centinaia di milioni, piuttosto che chiudere l’aeroporto “sotto casa”.

La Calabria fa poker. Il caso più eclatante è senza dubbio quello calabrese. La regione ha ben tre aeroporti e all’orizzonte potrebbe materializzarsi pure un quarto scalo. Questo mentre due dei tre aeroporti attivi stanno attraversando una crisi pesantissima, accentuata da compagnie che stanno riducendo la propria operatività a favore di territori più appetibili. Questo è successo all’aeroporto di Lamezia Terme. Che ai problemi di bilancio – assommano a poco meno di 4 milioni le perdite nel biennio 2011-2012 – ha visto aggiungersi negli ultimi due anni la fuga di importanti compagnie low cost, che garantivano un servizio indispensabile per le rotte nazionali con Roma Fiumicino, come Easy Jet e Blu Express: nel 2012 Easy Jet ha soppresso il volo da e per Roma, la stessa cosa ha fatto quest’anno anche la compagnia Blu Express. Una situazione questa, che, unita all’arresto, avvenuto lo scorso luglio, di Gianpaolo Bevilacqua – vicepresidente della società di gestione dello scalo – con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ha indotto il sindaco di Lamezia, Giovanni Speranza, a ritirare il proprio rappresentante ed a chiedere l’azzeramento del Cda. La crisi dell’aeroporto di Lamezia non è però nemmeno paragonabile a quella dello scalo di Crotone, che da questa estate non vede atterrare o decollare alcun volo. Questo per due ordini di ragioni: perché Alitalia, a dicembre del 2012, ha abbandonato lo scalo a causa dell’esiguità dei passeggeri e perché le rotte Ryanair per Ciampino, Pisa e Orio al Serio non sono mai state attivate. In Calabria c’è però chi pensa che tre aeroporti non siano sufficienti. E così si sono infittite negli ultimi mesi le voci secondo cui la Regione sarebbe pronta a mettere sul piatto una bella manciata di milioni di euro per un nuovo aeroporto . D’altra parte Scopelliti, in campagna elettorale, era stato chiaro: «Sono dell’avviso che la Calabria ha grandi potenzialità turistiche e per questo motivo […] dobbiamo destagionalizzare il turismo […] anche attraverso l’istituzione di un nuovo aeroporto come quello della sibaritide».

A Rimini il Pd precipita. Va detto che sovente, in lungo ed in largo per l’Italia, sulle gestioni disastrose degli scali giunge la mannaia della magistratura. Questo purtroppo accade quando ormai è troppo tardi, le voragini sono esplose e fatti giudizialmente rilavanti sono stati compiuti. Come dimostra il caso, deflagrato nelle ultime settimane, relativo alla società di gestione a netta maggioranza pubblica dell’aeroporto di Rimini. Giunta ad avere un indebitamento pari a 43 milioni di euro, dopo aver inanellato cospicue perdite – 35 milioni di euro solo negli ultimi tre esercizi – la società, a cui potrebbe essere addirittura negato definitivamente il concordato, è finita nel mirino della magistratura. Che, proprio negli scorsi giorni, ha sottoposto ad inchiesta per falso in bilancio e concorso in violazione della legge fallimentare anche due amministratori di punta del Pd emiliano-romagnolo: Andrea Gnassi e Stefano Vitali, rispettivamente Sindaco di Rimini e Presidente della medesima provincia. Ma i casi simili a quello di Rimini non mancano.

Siena, altri guai a sinistra. Basti pensare a Siena, altra terra in solide mani democratiche, dove il sogno inseguito per anni da miopi amministratori locali di avere uno scalo con almeno 100 mila passeggeri, costato nel periodo 2010-2012, ben 10 milioni di euro di perdite, si è definitivamente interrotto con la messa in liquidazione della società di gestione. I cui vertici andranno peraltro a processo il prossimo 24 ottobre, con l’accusa di aver pilotato la gara per la concessione delle quote di maggioranza della società Aeroporto di Siena. Il vincitore, il Fondo di investimento Galaxy, partecipato al 40% dalla Cassa depositi e prestiti, sarebbe infatti stato deciso a tavolino. Nella vicenda spiccano, tra gli altri, i nomi di Giuseppe Mussari, al tempo presidente dei Monte dei Paschi di Siena (azionista dell’aeroporto) e di Marco Parlangeli, attuale direttore generale della Fondazione Monte de’ Paschi di Siena, accusati entrambi di falso ideologico in concorso e turbativa d’asta assieme ad altre sei persone. Se dalla Toscana ci si sposta in Lazio, il quadro fatto di risorse pubbliche malamente utilizzate non muta.

Frosinone, i pm in pista. Perché in tal senso un’altra storia illuminante è quella dell’aeroporto di Frosinone. Sul cui iter progettuale la Procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta proprio poche settimane fa. L’obiettivo è di fare luce sulle modalità con cui sono stati spesi soldi pubblici – si parla di almeno tre milioni di euro – senza che sia stato neppure posato il primo mattone dell’aeroporto. L’infrastruttura quasi certamente non vedrà mai la luce, visto che nei giorni scorsi la Provincia di Frosinone, socio di maggioranza della società aeroportuale, ha deciso di presentare alla prossima riunione del CdA la propria richiesta di iniziare le procedure di liquidazione della società stessa.

Parma, stritolato dai vicini. Stessa sorte potrebbe toccare all’aeroporto di Parma, altro velleitario progetto mai decollato coerentemente con le ambizioni di amministratori e imprenditori locali di farne un punto di riferimento per rotte nazionali ed internazionali. Che invece hanno scelto, come era ampiamente prevedibile, le vicine Milano e Bologna. Anche nel caso dell’aeroporto di Parma, i costi dell’operazione sono stati altissimi. Ammontato infatti a circa 40 milioni le perdite accumulate negli ultimi 10 anni e la ricerca, in atto da tempo, di nuovi investitori appare quanto mai complicata.

Salerno, ottomila passeggeri. Irta di difficoltà è pure la strada per “rianimare” l’aeroporto di Salerno, privo di voli da un anno. L’aeroporto che nel periodo 2010-2012 ha totalizzato poco meno di 9 milioni di euro di perdite, è costato, dal 2007 – anno della sua inaugurazione – ad oggi, qualcosa come 100 milioni di euro. Che a ben poco sono serviti se i passeggeri dello scalo sono stati l’anno scorso un numero decisamente esiguo: 8797! L’appeal della struttura potrebbe però crescere se venissero realizzati gli investimenti necessari, a partire dall’allungamento della pista, per vocare l’aeroporto ad una specializzazione su voli low cost e cargo. Ma per realizzare tali investimenti sarebbero necessari altri 80-90 milioni euro, che però, qualora il percorso di privatizzazione in atto vada a buon fine, sarebbero a carico del nuovo gestore. Dal profondo Sud all’estremo Nord, la musica non cambia.

Bolzano, addio a 70 milioni. Perché il miraggio, inseguito per oltre un decennio dalla ricca Provincia Autonoma di Bolzano, di avere un aeroporto che collegasse il capoluogo altoatesino con il resto del mondo è costato fino a oggi quasi 70 milioni di euro. Una cifra enorme, spesa per un aeroporto che, all’apice del suo “successo”, ha assorbito appena lo 0,036 per cento del traffico passeggeri in Italia. Eppure Luis Durnwalder, potente presidente altoatesino, non ha mai badato a spese per quello che viene definito il suo giocattolo preferito. Come quando si è trattato, nel 2010, di rifare ed ampliare, per il costo abnorme pari a 6 milioni di euro, il terminal. Rimasto peraltro completamente inutilizzato per quasi un anno e mezzo a seguito del fallimento del vettore austriaco Air Alps e fino al momento in cui sono ripresi i voli per Roma – unica tratta disponibile – con una nuova compagnia.

Intanto, in questo quadro tutt’altro che tranquillizzante, i tempi di elaborazione del piano di riordino delle infrastrutture aeroportuali si sono allungati. La tabella di marcia annunciata dal ministro Lupi lo scorso 7 agosto in commissione Lavori pubblici al Senato prevedeva infatti che entro la fine di settembre dovesse «essere presentato un piano nazionale degli aeroporti». Piano che, stando a quanto ha appurato il Fatto, prevederebbe la chiusura dei rubinetti di fondi pubblici per gli aeroporti che non dovessero rientrare dal deficit entro 3-5 anni. Ma soprattutto la focalizzazione di politiche e risorse su un solo aeroporto per ogni regione. Se ciò accadrà, c’è da scommetterci, tra governo e autonomie locali sarà davvero guerra.

di Alberto Crepaldi e Danilo Procaccianti

da Il Fatto Quotidiano del 21 ottobre 2013

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