Passata la sbornia da campagna elettorale, Mario Monti si sarà anche rimesso il loden, ma il baluardo della trasparenza è rimasto sepolto nelle pagine dell’Agenda dell’ex premier che parlava dell’introduzione “di una disciplina di trasparenza dei bilanci con la perfetta tracciabilità dei finanziamenti privati e una soglia massima per gli stessi contributi”. Un tema particolarmente sensibile per i cittadini che, come dimostrano anche le numerose proposte arrivate sul sito dell’Agenda Monti, avrebbero voluto conoscere in tempo per il voto l’identità dei gruppi di potere economico che sostengono questo o quel candidato. Ma le promesse elettorali sono per definizione inconsistenti e Monti non fa eccezione. Anzi, in questa partita è tra i primi nella lista di quelli che predicano bene, ma razzolano parecchio male.

Della lista dei finanziatori della campagna da almeno 10 milioni di euro del professore, infatti, si è a lungo favoleggiato sulla stampa nei mesi scorsi, ma le certezze sono davvero poche. Anche perché è lo stesso portavoce del partito, Lelio Alfonso, a sbarrare la porta a ogni domanda in merito. Durante la campagna è stato impossibile avere risposte concrete alle richieste di chiarimento sull’elenco di nomi rigorosamente senza importo pubblicato dal Corriere della Sera il 17 gennaio scorso che comprendeva personaggi come il costruttore Pietro Salini proprietario di Impregilo, in queste settimane alle prese con un braccio di ferro col governo per la questione del Ponte sullo Stretto e delle relative penali, l’ex numero uno di Telecom, Marco Tronchetti Provera, il patron della Tod’s, Diego Della Valle, quello di Maire Tecnimont, Fabrizio Di Amato o l’esponente della famiglia Agnelli, Lupo Rattazzi.

Niente da fare neanche a urne chiuse. Alla domanda: “Dove avete nascosto l’elenco dei finanziatori?”, risponde: “Quali, scusa? Noi renderemo pubbliche le voci di spesa della campagna, come da impegni presi”. Un resoconto peraltro dovuto e indispensabile per ottenere gli oltre 15 milioni di rimborsi elettorali che spettano alla lista. Serve a poco ricordargli una precedente conversazione che andava in senso opposto. Serve solo a far calare il silenzio, poi, fargli presente che agli stessi candidati di Scelta Civica è stato imposto l’impegno a “comunicare l’identità di quanti hanno finanziato o sostenuto anche indirettamente la mia campagna elettorale” (Criteri di candidabilità punto 4). Un documento che però è stato firmato da ognuna delle persone che si sono presentate con Monti e hanno superato il vaglio di Enrico Bondi, che si è occupato della selezione dei potenziali parlamentari di Scelta Civica dando vita ad “una specie di due diligence per valutare eventuali conflitti di interesse dei candidati”, come spiegato dallo stesso professore prima delle elezioni. Due pesi e due misure, quindi, proprio mentre fra i seggi capitolini circolavano nuove indiscrezioni come quella che vorrebbe che il primo finanziatore di Monti sia proprio Salini, un imprenditore che sta giocando una partita non da poco in Italia e che conta sull’alleanza con Luisa Todini e sul tifo di Corrado Passera.

Fa sorridere quindi rileggere le dichiarazioni di chi, come Mario Sechi, tra gli illustri trombati delle elezioni 2013, preannunciava “una campagna all’americana, stile Obama”. Di americano, infatti, c’è solo la consulenza mediatica di Dacid Axelrod, il più stretto consigliere del presidente Usa e artefice della sua vittoria sia nel 2008 che nel 2012. Monti e i suoi, però, si sono ben guardati di adottare l’usanza d’Oltreoceano, dove per conoscere i fondi raccolti dai candidati con tanto di numeri e nomi dei finanziatori basta un click sul sito della Federal Election Commission, una commissione indipendente creata nel 1975 per garantire corrette informazioni agli elettori. In Italia, invece, non esiste una struttura simile. E Monti non ha evidentemente nessuna intenzione di muoversi senza i forconi della legge, nonostante il fatto che la normativa sui finanziamenti ai partiti varata sotto il suo governo usi il termine trasparenza un po’ come l’olio e il sale nell’insalata. I fatti sono che per sapere chi ha finanziato la campagna del professore dovremo aspettare i termini previsti dalla sua legge. Che potrebbero scadere anche dopo una seconda campagna elettorale.

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