Ho avuto occasione di partecipare l’altro ieri a Napoli, nella prestigiosa sala dell’Istituto di studi filosofici, a un’importante iniziativa convocata dall’Osservatorio internazionale sul processo politico ad alcuni militanti saharawi che si terrà prossimamente a Rabat.

Sono oramai oltre cinquanta anni che il popolo saharawi si batte per la sua indipendenza, prima contro il colonialismo spagnolo e poi contro l’occupazione marocchina. Pur non avendo avuto finora l’occasione di recarmi nel territorio occupato o nei campi profughi di Tindouf, su territorio algerino, ho dedicato a tale tema il mio primo scritto scientifico, pubblicato nel 1989 dalla Rivista di diritto internazionale.

Il processo che dovrebbe tenersi a Rabat il prossimo 1° febbraio dopo vari rinvii in buona parte misteriosi, si tiene a seguito dei violentissimi scontri che seguirono alla decisione della polizia marocchina di sgombrare la tendopoli dove si erano accampate decine di migliaia di persone alla periferia di El Aiun, capitale del territorio occupato. Nel corso degli scontri morirono varie decine di manifestanti e un numero imprecisato di gendarmi (ma il governo marocchino è stato in grado di fornire le generalità solo di uno di essi). 

Si tratta di un processo su cui gravano pesanti sospetti di illegittimità per almeno due motivi e cioè il fatto che si svolgerà di fronte a una Corte militare, evidentemente priva in quanto tale dei più elementari requisiti di indipendenza, e il fatto che le uniche prove nei confronti degli accusati si basano su confessioni estorte con ogni genere di torture. Gli imputati potrebbero essere condannati a morte in base all’art. 267 del Codice penale marocchino.

Nella considerazione di tali aspetti, Comune di Napoli, Camera penale di Napoli e Unione delle Camere penali hanno deciso di inviare una delegazione formata dai magistrati Nicola Quatrano e Anna Grillo, al fine di procedere al monitoraggio del processo.

Si tratta di iniziativa particolarmente giusta e significativa, un modo per rispondere alle sfide della globalizzazione praticando e diffondendo una cultura dei diritti umani e della giustizia che funga da effettivo contrappeso ai pericoli rappresentati da fondamentalismo, terrorismo e interventismo militare delle Potenze occidentali. 

Tutte le popolazioni della sponda sud del Mediterraneo manifestano oggi una grande e incontenibile aspirazione a una vita migliore che bisogna soddisfare in modo pacifico e democratico proprio per allontanare i pericoli appena menzionati. Non è casuale che l’episodio della tendopoli saharawi cui ho fatto riferimento, avvenuto nell’ottobre 2010, costituì per molti versi il primo episodio delle grandi rivolte della primavera araba, che poi si sono estese in vario modo a Tunisia, Egitto ed altre situazioni.

Nel caso dei saharawi, tale aspirazione si salda evidentemente con quella all’indipendenza, che presenta basi giuridiche internazionali inattaccabili. Sono oramai oltre cento le risoluzioni approvate dalle Nazioni Unite per svolgere il referendum che tuttavia non si è finora tenuto a causa delle resistenze del governo marocchino, che continua a praticare una brutale repressione. Eppure, è davvero ammirevole la saldezza di propositi e la coerenza di questo popolo, testimoniata, nel corso della riunione dall’intervento, particolarmente toccante e significativo, di Brahim Dahane, militante saharawi  per i diritti umani. “Nel corso della pluriennale prigionia inflittami per motivi di opinione e costellata di torture, ha raccontato Ibrahim, ho avuto modo di osservare, nella mia cella angusta e oscura dove proliferavano insetti di ogni genere, come i ragni catturassero le mosche e, dopo averle paralizzate con il loro veleno, le svuotassero dall’interno della loro linfa vitale. Analogo è l’intento, ha proseguito Brahim, perseguito dalle forze repressive marocchine nei nostri confronti: mediante la tortura, l’intimidazione, la soppressione fisica e le violenze di ogni genere, fra le quali gli stupri delle donne di fronte ai loro figli, padri e mariti, vogliono toglierci la dignità e la voglia di lottare. Ma finora non ci sono riusciti e non credo ci riusciranno”.

Come ho avuto l’occasione di proporre in varie occasioni, anche di fronte alla competente Quarta Commissione delle Nazioni Unite a New York, la soluzione del problema sta in una Federazione del Maghreb composta da Marocco, Algeria e Sahara occidentale indipendente, sul territorio del cui ultimo siano garantiti uguali diritti ai cittadini qualunque ne sia l’origine. Analoghe soluzioni di tipo federativo sono state suggerite per il Mali ed altre aree del Sahel che vivono la contrapposizione storiche fra neri, “blu” (tuareg)  e bianchi. 

Sola alternativa alla guerra e al terrorismo, in quelle zone come altrove, è la giusta pace, da perseguire garantendo i diritti dei popoli, primo fra tutti, ai sensi dell’art. 1 comune dei Patti dei diritti umani, quello all’autodeterminazione. Per questo bisogna plaudire alla coraggiosa iniziativa dei giudici Quatrano e Grillo, delle Camere penali e del Comune di Napoli che è consapevole del suo ruolo di metropoli mediterranea e della necessità di dedicare la dovuta attenzione ai beni comuni della giustizia e della legalità internazionale. 

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