Tra le tante conseguenze politiche dell’addio anticipato del presidente del Consiglio Mario Monti, sono emerse da ieri anche quelle legislative. In questa ultima fase della legislatura infatti si sono affastellati tra le Camera e il Senato una pila di provvedimenti più o meno urgenti da approvare. Il caso emblematico è la legge di stabilità e di bilancio senza la quale lo Stato italiano entra per Costituzione in esercizio provvisorio. Il provvedimento sarà, al momento, l’unico ad essere sicuramente vagliato e licenziato dalle camere. Tutto il resto, oscilla dall’area grigia della dubbia approvazione all’area rossa del sicuro affondamento.

I decreti da trasformare in legge sono numerosi. Il primo che fino a ieri aveva probabilità molto alte di passare le forche caudine della sola Camera prima del 18 dicembre, giorno della sua scadenza, è il decreto sulla crescita ribattezzato anche ‘Crescitalia’. Da qui si passa al decreto sull’Ilva, che scade il 3 febbraio. Difficilmente il Pdl avrà il coraggio di non approvarlo in tempo perché potrebbe portarsi dietro il fardello politico della sua decadenza nell’imminente campagna elettorale. C’è poi il decreto sul pareggio di bilancio da inserire in Costituzione, da trasformare in legge per non avere ripercussioni con l’Europa sulla promesse di austerity e la nostra credibilità di paese membro. 

C’è poi chi ipotizza che diversi provvedimenti possano entrare nel calderone della legge di stabilità: è il caso del decreto salva-infrazioni, approvato dal governo pochi giorni fa per non incorrere in multe dall’Unione euroepa e il consueto decreto milleproroghe, nel quale entra qualsiasi provvedimento a rischio scadenza. Senza dimenticare poi il trasferimento ai comuni del gettito dell’Imu e la proroga dei contratti dei precari pubblici, entrambi importanti per le casse disastrate dei municipi e il destino delle diverse figure professionali nella p.a..

Infine ci sono i decreti che contengono la delega fiscale (in commissione al senato), la legge sulla concorrenza (solo in bozza), quella sulle semplificazioni e la legge sulla concorrenza (anch’essa in bozza). L’ultimo decreto che ha contribuito nella decisione di ieri del premier (causa pregiudiziale di costituzionalità) di accelerare la fine della legislatura, per non farsi impallinare,  è stato il decreto sull’abolizione parziale delle province, in commissione al Senato con scadenza il 5 gennaio. La responsabilità politica del fallimento di tutti questi decreti avranno un nome e cognome, e da ieri si sa che non sarà quello di Mario Monti. Già morto e sepolto, infine, il decreto Liste pulite sulla incandidabilità dei condannati. Stesso identico discorso, neanche a dirlo, per la nuova legge elettorale. E così sei mesi di attività governativa vengono cancellati con un colpo di spugna.

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