Un nuovo terremoto sta per colpire l’Emilia Romagna. Non geologico, ma burocratico. Morti a parte, gli effetti rischiano di essere simili: paralisi dell’attività economica, imprese costrette ad abbattere capannoni e ricostruirli, oppure a spostare la produzione. Martedì arriva in aula, al Senato, il decreto legge 74, pronto per essere convertito in legge. È già stato passato alla Camera, non c’è più spazio per modifiche. “Se viene approvato prima dovrei mettere dei legami ai pilastri, poi fermare completamente la produzione, spostare 23 presse a iniezione per rifare le fondamenta. Visto che la mia impresa non ha subito danni dal sisma, però, non riceveremo alcun aiuto dallo Stato”, spiega molto arrabbiata Barbara Franchini, imprenditrice di Correggio (vicino a Reggio Emilia), preoccupata per la sua FM, impresa nel settore della plastica che esporta in 50 Paesi.

Il 20 e 29 maggio arrivano le due scosse che devastano l’Emilia. Il 6 giugno, sull’onda emotiva della catastrofe e con la rabbia per i lavoratori schiacciati dal crollo dei capannoni industriali, il governo emana il decreto legge 74, da convertire entro i soliti 60 giorni. Oltre a qualche aiuto economico, le esenzioni Imu e agevolazioni varie, stabilisce i nuovi requisiti di sicurezza: chi non ha subito danni gravi ha sei mesi per ottenere una “certificazione di agibilità sismica” provvisoria (gli imprenditori denunciano: è un documento che non esiste nell’ordinamento italiano). Entro 18 mesi tutti i capannoni devono avere il 60 per cento della sicurezza richiesto a un edificio nuovo, cioè secondo le regole del 2008 (vista la recessione del 2009 che ha bloccato gli investimenti, le prime strutture a norma sono del 2010). Mai più morti nei capannoni alle prossime scosse, vincoli stringenti eviteranno nuove tragedie.

Ma le cose sono più complesse. Prima stortura: le nuove regole severissime valgono soltanto per i Comuni inseriti nel cosiddetto “cratere sismico”. A San Giovanni in Persiceto, nel Bolognese, artigiani e piccoli imprenditori sono angosciati da settimane: “Perché dobbiamo rifare i capannoni dalle fondamenta se sono intonsi? E perché noi sì e i nostri concorrenti a cinque chilometri, a Sant’Agata Bolognese o a Sala possono tenersi i capannoni vecchi? Quelli sono sicuri?”. Secondo problema: spesso sono proprio i capannoni più nuovi che sono crollati, perché visto che l’Emilia si riteneva fosse poco sismica si è costruito con tetti pesanti soltanto appoggiati sui piloni. Con le scosse sussultorie il tetto si è sfilato dall’incavo ed è crollato. “Le strutture recenti hanno avuto più problemi di quelle con le tettoie in Eternit. Se la sono cavata meglio le strutture che non avevano tetti in laterizio rinforzato che potevano cadere schiacciando le persone” racconta Tommaso Solfrini, della Italdron, società che offre droni volanti per ispezionare dall’alto e dall’interno gli edifici danneggiati.

Terzo problema: chi paga? I soldi per la ricostruzione andranno, come naturale, a chi ha avuto case e imprese distrutte (la nuova stima della Protezione civile, di ieri, è di quasi 14 miliardi di euro). Gli altri dovranno farsi carico di tutti i costi. “Dopo il sisma i miei architetti solo per fare una valutazione hanno chiesto 25 mila euro. Ne servirebbero fino a 150mila per legare le colonne ai pilastri, cosa che tra l’altro potrebbe indebolire la struttura. Nella fase due, per avere la sicurezza al 60 per cento, bisognerebbe smontare tutto. E intervenire sulle fondamenta”, spiega Barbara Franchini della FM. Milioni di euro. Normale che qualcuno pensi a spostarsi, cedendo a quelle pressioni del mercato per delocalizzare in Asia a cui tanti hanno resistito per anni. Se la FM di Correggio dovesse rispettare il decreto, come prima cosa dovrebbe fermare la produzione per ottenere l’agibilità provvisoria. Ma dal primo giugno la FM sta producendo a pieno ritmo, perché ospita la produzione anche dei concorrenti con i capannoni distrutti (che in tempi normali talvolta fungono da conto terzisti), perché in queste situazioni, la priorità è salvare il distretto industriale. La soluzione a molti di questi problemi sarebbe semplice: un grande piano di detrazioni fiscali per i lavori edilizi necessari a rendere antisismici gli edifici. Non solo nei Comuni del “cratere” emiliano, ma ovunque. Perché non si sa dove arriverà la prossima scossa. L’esperienza delle agevolazioni edilizie al 55 per cento per gli interventi che portano risparmio energetico dimostra che lo strumento funziona e si ripaga da solo (cresce la domanda ed emerge economia sommersa). Alcuni parlamentari del Pd avevano presentato emendamenti in questo senso, ma il governo ha chiesto di ritirarli per accelerare l’approvazione. Sono diventati ordini del giorno, cioè mere promesse di interventi futuri.

Il sottosegretario ai Rapporti col Parlamento Gianpaolo D’Andrea sta seguendo l’iter parlamentare del decreto 74. Il governo non pensa al fatto che le nuove norme paralizzeranno le imprese che ancora sorreggono la vacillante economia emiliana? “Mi sembra una visione eccessivamente produttivista, ci sono le ragioni dell’industria e quelle della sicurezza. Rifare le fondamenta con i criteri moderni è facilissimo”, risponde D’Andrea.

Ma non bisogna dimenticare che siamo in Italia. È lo stesso D’Andrea a ricordare che “tutti i poteri derogatori spettano al commissario per l’emergenza, cioè il governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani”. Il finale è quindi già scritto: governo e Parlamento approvano norme severissime, per quietare le coscienze turbate dai lavoratori morti. Poi Errani dovrà allungare i tempi e concedere deroghe per evitare la paralisi dell’economia emiliana e il dramma sociale. La sicurezza non aumenterà e alla prossima scossa o al prossimo morto le polemiche ricominceranno.

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