Il presunto tentativo di suicidio di Bernardo Provenzano diventa oggetto d’indagine per la procura di Palermo. I magistrati siciliani hanno infatti aperto un fascicolo modello 45 a carico d’ignoti, ovvero la procedura prevista per gli fatti non costituenti reato, sul presunto tentativo di suicidio che il boss corleonese avrebbe messo in pratica agl’inizi di maggio nel carcere di Parma, dove è recluso in regime di 41 bis dal marzo del 2011. Provenzano, arrestato nei dintorni di Corleone l’11 aprile del 2006, era stato in precedenza detenuto nel carcere di Terni e poi in quello di Novara. Gli atti dell’indagine sono stati inviati anche alla procura di Bologna che ne ha competenza territoriale.

Giovedì scorso i magistrati palermitani Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia sono andati a interrogare Provenzano in cella. “Il tentativo di suicidio? Non ricordo. Sia fatta la volontà di Dio, io non voglio fare del male a nessuno” ha detto ai due procuratori aggiunti, apparendo ancora lucido nonostante l’evidente sofferenza fisica. Al colloquio non ha assistito l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Provenzano, che non sarebbe stata avvertita della visita dei magistrati al suo cliente.

L’indagine sul presunto tentativo di suicidio è stata aperta dopo che l’avvocato Di Gregorio aveva presentato istanza alle procure di Caltanissetta e Palermo. I contorni oscuri del presunto tentativo di togliersi la vita da parte del boss corleonese sono infatti parecchi. A cominciare dalle modalità: Provenzano avrebbe infatti tentato di auto soffocarsi con un sacchetto di plastica che si trovava stranamente all’interno della cella. Il boss avrebbe poi infilato la testa nel sacchetto soltanto poco dopo aver sentito il campanello che annunciava il cambio di turno della guardia carceraria.

La notizia del tentativo di suicidio è andata ad arricchire una scia di eventi poco chiari sorti recentemente intorno alla latitanza e alla successiva reclusione del boss corleonese. I magistrati palermitani hanno voluto incontrare Binnu ‘u Tratturi anche per saperne di più su quella strana mediazione che avrebbe dovuto portare alla sua resa, raccontata per la prima volta al Csm dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Tra il 2003 e il 2005 ci sarebbe stato infatti un intermediario che avrebbe proposto la resa di Provenzano in cambio di due milioni di euro: l’arresto del super boss doveva però rimanere segreto per un paio di mesi prima di essere annunciato alla stampa.

Per Pietro Grasso e Pier Luigi Vigna, suo predecessore ai vertici della Dna, quella proposta era soltanto “una bufala”. Meno convinti ne sono invece i due ex aggiunti di via Giulia Alberto Cisterna ed Enzo Macrì, già convocati dalla procura di Palermo, che seguirono il negoziato con il mediatore. L’oscuro mister X che offriva la resa di Provenzano si è materializzato – seppur con il volto coperto – in un’intervista a Servizio Pubblico il 24 maggio scorso. Dopo aver sostenuto di essere stato nella Cia e nel Sismi, l’uomo ha raccontato che sull’arresto di Provenzano “esiste una piramide, un’istituzione, loro hanno catturato Provenzano prima del voto del 2006, ma hanno detto di averlo preso dopo perché è una questione squisitamente politica”.

Provenzano fu arrestato in un casolare adibito a caseificio a Montagna dei Cavalli, proprio la mattina successiva alle elezioni politiche del 2006. Adesso i magistrati di Palermo stanno cercando d’individuare l’identità dell’oscuro mediatore per convocarlo immediatamente in procura e fargli ricostruire tutti i passaggi di quella presunta coda di trattativa per consegnare il padrino corleonese allo Stato.

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