Zemanlandia torna in Serie A. Dopo sette anni il tecnico boemo torna nella massima serie del campionato italiano. Il suo nuovo capolavoro si chiama Pescara, che dopo vent’anni in sale in A, con una giornata di anticipo, grazie alla vittoria 3-1 a Marassi contro la Sampdoria. Il metodo è sempre lo stesso: fatica e sudore in allenamento; corsa, fuorigioco e triangoli sulle corsie esterne in partita. Anche la tattica è la stessa: lo storico modulo 4-3-3, iperoffensivo marchio di fabbrica di un calcio sempre all’arrembaggio, a cercare un gol in più dell’avversario. Uguale pure la strategia: giovani entusiasti come Verratti (convocato da Prandelli nel gruppo dei 32 che si prepara per l’Europeo), Immobile (capocannoniere in B con 28 gol a una giornata dalla fine), il baby-fenomeno Insigne, Cascione e Caprari, solo per citarne alcuni.

Ma immutabile, eternamente uguale a se medesimo, è sempre lui: Zdenek Zeman. Con i suoi interminabili silenzi, le innumerevoli sigarette, lo sguardo perennemente ironico e disincantato, da personaggio brechtiano. “A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi”. Questo lo Zeman-pensiero. Torna in Serie A il pensiero eretico, il cantore dell’utopia per cui un altro calcio è possibile. Rientra sulla scena del calcio italiano il grande accusatore: quello che per primo gridò disperato che “il calcio doveva uscire dalle farmacie, nel nostro ambiente girano troppi farmaci”.

Era l’estate del 1998, quelle parole diedero il là all’inchiesta del procuratore Guariniello. Cominciarono i processi a carico di Agricola e Giraudo, ovvero la Juventus, conclusi con l’assoluzione confermata nei tre gradi di giudizio per quanto riguardava l’uso di sostanze dopanti e la prescrizione in Cassazione per l’abuso abuso di farmaci. Fatto sta che il fu primo ‘processo alla Juve’, poi seguirono l’affaire Gea e, più recentemente, Calciopoli. E nell’immaginario collettivo lui rimase sempre il responsabile, il ‘nemico’ della Juve: quella squadra per cui faceva il tifo quando ragazzo raggiunse in Italia lo zio Vycpálek, che dei bianconeri era stato allenatore. E così, vista la contemporanea promozione del Torino, per la Juventus i derby contro i ‘nemici’ l’anno prossimo saranno quattro: due col Toro e due con Zeman.

Ai tempi della grande accusa, Zeman era sulla cresta dell’onda. Reduce dalla prima Zemanlandia a Foggia, era considerato il tecnico emergente del calcio italiano. Da allora il buio. Per i fedeli del verbo zemaniano, la colpa è del grande vecchio bianconero, che lo ostracizzò dal calcio che conta. Per i detrattori, la dimostrazione che la sua idea di calcio non poteva funzionare. Furono anni bui, dentro e fuori dall’Italia, tra esoneri e fallimenti sportivi. Ma i devoti seguaci non l’hanno mai abbandonato, e hanno aspettato fiduciosi il ritorno del messia.

L’epifania si è fatta attendere a lungo. Fino ad oggi, quando la sagoma del tecnico boemo ha spalancato per un attimo la bocca, un urlo muto: Serie A. Guadagnata e sudata sul campo. Sotto la pioggia di Genova, mentre i giocatori festeggiano e lo indicano come l’artefice del trionfo, una lacrima scende sul viso del tecnico boemo: “E’ tutto per Franco”. La dedica commossa è per Francesco Mancini, suo portiere dai tempi di Foggia e poi stretto collaboratore e soprattutto amico, scomparso due mesi fa per un infarto. Perché anche nel calcio l’importante è restare umani. Parola di ‘Sdegno‘.

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