In nome della difesa della morale e della religione, le autorità della Tunisia post-Ben Ali stanno progressivamente restringendo gli spazi per la libertà d’espressione.

L’11 aprile un tribunale di Medenine ha condannato Ramzi Abcha, 25 anni, a quattro anni di carcere per “attacco a una moschea” e “assalto a riti religiosi”. Aveva lanciato (“dissacrato”, secondo il verdetto) copie del Corano nella zona delle abluzioni in alcune moschee di Ben Gardane, nel sud-est del paese, sostenendo di essere laico e omosessuale e chiedendo di poter sposare un uomo senza passare guai. È detenuto nella prigione di Harboub in attesa del processo d’appello.

Il 28 marzo, un tribunale di Mahdia ha condannato Ghazi Beji e Jabeur Mejri a sette anni di carcere per aver pubblicato materiale suscettibile di danneggiare l’ordine pubblico e la morale, aver recato danno ad altri mediante tale pubblicazione e aver attaccato alla pubblica morale. I due uomini avevano pubblicato sui loro profili Facebook e su Internet testi e ritratti del profeta Maometto considerati dai giudici un’offesa all’Islam e alla comunità musulmana. Mejri è in prigione a Mahdia, Beji all’estero.

A venire violati, secondo i giudici, sono in particolare l’articolo 121(3) del codice penale, che punisce con una multa e un periodo di carcere da sei mesi a cinque anni la diffusione di materiale stampato che danneggia l’ordine pubblico o la pubblica morale; e l’articolo 86 del codice delle telecomunicazioni che considera reato l’uso dei mezzi di comunicazione per danneggiare intenzionalmente altre persone o recare disturbo alla loro pace.

Ci sarebbe in realtà, una nuova Legge sulla stampa, entrata in vigore nel novembre 2011, più garantista rispetto alla libertà d’espressione, ma i giudici non sembrano tenerne conto.

L’articolo 121(3) è stato anche usato contro i giornalisti del quotidiano Attounissia, colpevoli di aver pubblicato la fotografia del noto calciatore del Real Madrid, Sami Khedira, che ha doppio passaporto tedesco e tunisino, in posa con la sua fidanzata, ripresa nuda, a mezzo busto e col seno coperto dalle mani del fidanzato. L’8 marzo, il direttore di Attounissia è stato condannato in primo grado al pagamento di una multa.

Ancora prima, lo stesso articolo era stato usato contro Nabil Karoui, proprietario di Nessma Tv, che lo scordo ottobre aveva trasmesso il film di Marjane Satrapi, “Persepolis”, doppiato in dialetto tunisino. La messa in onda del film, che descrive il punto di vista di una giovane iraniana sulla rivoluzione del 1979, aveva provocato reazioni rabbiose, a tal punto che Karoui è sotto processo per “violazione dei valori sacri” e “disturbo all’ordine pubblico”. A poco è valsa la difesa, semmai una difesa dovesse essere necessaria in un caso del genere, che le autorità avevano autorizzato la trasmissione.

Il verdetto è previsto per il 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa. Decisamente paradossale, non meno del fatto che il ministro dei Diritti umani ha recentemente dichiarato che l’omosessualità è una malattia che va curata coi farmaci.

Molte tunisine e molti tunisini avevano visto nella fine della satrapia di Zine El Abidine Ben Ali un’opportunità per fare passi avanti nella tutela dei diritti umani. C’è ancora tempo, perché l’Assemblea costituente proprio in queste settimane sta elaborando la nuova Costituzione. Ma, intanto, masticano amaro e commentano che, rispetto a prima, non è cambiato nulla.

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