Il diritto di raccontare, informare, esprimere un’opinione, nel 2012, nell’era di internet, in Italia può davvero considerarsi appannaggio esclusivo dei giornalisti? E’ giusto che sia così?

Prima di rispondere, però, attenzione il punto non è – domanda che pure prima o poi occorrerà porsi – se sia o meno auspicabile che l’esercizio professionale dell’attività di informazione e cronaca venga o meno svolto da professionisti iscritti ad una determinata professione.

La questione è, più in generale se per raccontare qualcosa che abbiamo visto accadere sotto i nostri occhi, per parlare di un evento al quale abbiamo partecipato o, piuttosto, per dire la nostra su un fatto di attualità serva o meno essere giornalisti.

E’ questa la domanda che bisogna porsi ed alla quale occorre dare una risposta per decidere da che parte stare rispetto ad una vicenda giudiziaria – comunque unica nel suo genere ed anacronistica – che si sta consumando dinanzi al Tribunale di Pordenone dove Francesco Vanin, amministratore delegato di una società – Pn Box – che gestisce una piattaforma attraverso la quale consente agli utenti di pubblicare video da essi girati in autonomia o con il supporto di una telecamera messa loro a disposizione dalla stessa società è imputato di esercizio abusivo della professione di giornalista.

Il capo d’accusa è – almeno per chi crede che l’informazione ed il sapere siano beni comuni – roba da far accapponare la pelle: Vanin è imputato perché “in qualità di responsabile delle trasmissioni di “Pn Box”, televisione via web, senza essere iscritto all’albo dei giornalisti e senza aver registrato la testata” avrebbe svolto “attività giornalistica non occasionale diffondendo gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità politica e spettacolo relativi soprattutto alla provincia di Pordenone”.

La Pnbox, in realtà, non ha svolto il tipo di attività contestatale giacché si è limitata a porre a disposizione degli utenti una piattaforma ed una struttura per la realizzazione dei propri video.

Ma il passaggio inquietante della motivazione a fondamento della citazione a giudizio del legale rappresentante della società è quello nel quale si dice che la società sarebbe rea di aver diffuso “gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità, politica e spettacolo”.

E’, esattamente, quanto accade ogni giorno sulle centinaia di migliaia di blog che popolano – per fortuna – la blogosfera italiana e sugli oltre 20 milioni di profili facebook.

Senza parlare dei tanti italiani che, ormai – ed egualmente per fortuna – nell’era degli smartphone e delle webcam, pubblicano centinaia di migliaia di contenuti audiovisivi sui canali di YouTube.

Stiamo tutti esercitando abusivamente l’attività di giornalisti?

Sarebbe bene saperlo perché l’art. 348 del codice penale – quello utilizzato per trascinare l’amministratore di Pnbox davanti ai giudici – punisce con sei mesi di galera l’esercizio abusivo di una professione.

E’ davvero quello che vogliamo un Paese nel quale – in assoluta controtendenza rispetto a quello che accade in ogni altra parte del mondo – per raccontare online un fatto o per commentare un avvenimento politico o di costume o, addirittura, solo per consentire a terzi di farlo, serve un tesserino?

Personalmente credo che mentre la professione e la professionalità dei giornalisti vada tutelata e salvaguardata in ogni modo [n.d.r. non sono convinto che serva un ordine dei giornalisti per questo ma esattamente come non sono convinto che serva un ordine degli avvocati] come quella di chi è chiamato a garantirci ogni giorno un’informazione libera, affidabile e di qualità, il c.d. citizen journalism e l’informazione partecipativa e dal basso del web 2.0 siano un fenomeno prezioso ed irrinunciabile per ogni Paese democratico del presente e del futuro.

E’ per questo che ritengo che l’azione promossa dalla procura della Repubblica di Pordenone su denuncia del Consiglio regionale dell’ordine dei giornalisti  contro Pnbox sia un autentico attacco alla libertà di informazione online.

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