C’era grande attesa questa mattina al palazzo di giustizia di Torino per la sentenza del processo Eternit. Lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Luois de Cartier, proprietari in periodi diversi della società di produzione dell’amianto con 4 stabilimenti in Italia (Casale, Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli), sono stati condannati per disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa di misure di sicurezza. Il pm Raffaele Guariniello ha chiesto per loro 20 anni di carcere per aver “agito e perseverato nell’agire” con la consapevolezza che avrebbero provocato una tragedia tra i lavoratori e gli abitanti dei comuni in cui sorgevano i loro stabilimenti. E la sentenza li ha condannati a 16 anni. Almeno 1800 le vittime e i malati nella sola Casale Monferrato, paese della provincia di Alessandria.

Sono arrivati da tutto il mondo per la sentenza, da Francia, Belgio, Inghilterra, Svizzera, Brasile. Le delegazioni di ex lavoratori e familiari, nella speranza che il caso italiano faccia giurisprudenza in tutto il mondo, anche dove l’amianto si lavora ancora, come in sud America. La legislazione francese non prevede l’imputazione penale per disastro ambientale doloso, né la possibilità di class action, perciò i tribunali sono intasati da più di 15mila cause civili. L’atmosfera dell’attesa, fin dalle prime ore del mattino, era tutta nei rappresentanti dell’associazione francese dei familiari, Andeva, che si sono lasciati fotografare davanti al Palazzo di giustizia con le dita alzate verso il cielo, in segno di vittoria. “Signor Stefhan Schmidheiny il vostro posto è in prigione” è scritto su un volantino distribuito dal comitato svizzero Caova.

“L’aspettativa è grande”, spiegava Romana Blasotti, presidente dell’Associazione familiari e vittime dell’amianto. “Ho passato la vigilia avendo in testa, negli occhi e nel cuore tutte le vittime casalesi. La nostra associazione conta 1700 famiglie. Forse, finalmente, anche per loro ci sarà un po’ di pace”. La signora Blasotti ha perso cinque familiari a causa della “polvere”, il nome con cui chiamano l’amianto a Casale, l’ultima è stata sua figlia. “Il pensiero di aver giustizia sarebbe per noi il coronamento di 30 anni di lotta. Penso in particolare alle nuove generazioni, a tutti i malati e le vittime di quest’anno, che continuano a crescere e hanno tutti più o meno la stessa età: sono i ragazzi che hanno giocato negli oratori, nei campi di football, per le strade, respirando l’aria di Casale”.

Di fronte al vertice dell’azienda Eternit, che si è concesso per anni il lusso del dubbio sugli effetti delle polveri killer, questa mattina hanno parlato le centinaia di familiari, giunti con i pullman dai comuni del casalese, ma anche dalla Campania e dall’Emilia Romagna, dove sorgevano le altre fabbriche. Ognuno di loro ha una storia, un lutto da raccontare. C’è anche chi si presenta con la tuta da lavoro, con tanto di logo dell’azienda incriminata. “Lavorare in Eternit era considerata una fortuna – racconta una signora – . Quando è morto mio padre la parola mesotelioma non la conosceva nessuno. Qua in aula gli imputati hanno detto che la colpa era degli operai che non si pulivano la tuta prima di tornare a casa”.

In aula, in prima fila, anche il Procuratore Gian Carlo Caselli e i sindaci con le fasce tricolori. I parenti si sono distribuiti in diverse aule, appositamente predisposte per contenere tutti. Per avere un’idea dei numeri basta pensare alle circa 6mila parti civili e 2857 parti lese. Ma sono intervenuti in molti, studenti e semplici cittadini, per manifestare solidarietà ai parenti. “Abbiamo sentito il calore che ci arrivava dalla presidenza della Repubblica fino al sindaco del più piccolo comune del casalese – dice il pm Guariniello – . Casale oggi rappresenta il mondo, perché nel mondo si è usato l’amianto. Ci sono tanti morti per causa d’amianto che finiscono negli archivi degli ospedali senza che nessuno faccia giustizia. Ecco, questo processo dimostra che è possibile fare giustizia. Le istituzioni hanno capito che questi sono processi di fondamentale importanza” .

Questa mattina, prima della sentenza, era prevista la replica dell’avvocato Zaccone, ma la difesa ha rinunciato.

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