6200 metri quadrati, di cui 3mila espositivi, 37 sale e la gratuità in entrata dal 28 gennaio 2012 per un periodo ancora illimitato, perfino per il presidente Napolitano che arriverà. Ecco apparire, anzi rifiorire, la storia di Bologna dagli etruschi all’oggi, all’interno di Palazzo Pepoli, uno degli otto edifici medioevali della città che la fondazione Carisbo, cioè la più potente e influente banca privata del territorio presieduta da Fabio Roversi Monaco, ha ristrutturato e reso disponibile al pubblico con il progetto di Genus Bononiae – Musei nella città.

Palazzo Fava, San Giorgio in Poggiale, San Colombano, Santa Maria della Vita, Casa Saraceni, Chiesa Santa Cristina, San Michele in Bosco, questo l’elenco dei luoghi di interesse architettonico/storico/culturale rinati grazie al tocco della bacchetta magica di Roversi Monaco, un signore che ha compreso sia meglio, e più comodo, farsi ricordare come mecenate della città piuttosto che come rappresentante di qualsivoglia elettore.

Un restauro che, appunto, costa. E non poco: 45 milioni di euro. Un Freccia Rossa di quattrini che il Comune di Bologna ha visto passare fuori dalla finestra di Palazzo d’Accursio alla velocità della luce destinati all’abbellimento di una città dove gli equilibri politici, ed economici, sembrano lentamente prendere una nuova piega: non più il privato che si accosta e appoggia le iniziative del pubblico, ma che fa direttamente da sé.

“Con Cofferati c’era un’intesa forte”, ha dichiarato l’ex magnifico rettore Roversi Monaco, “proprio sette anni fa quando il progetto è partito”. Poi sono passati almeno tre assessori alla cultura e dalla Fondazione si è proseguito lo stesso il cammino: “Ci basiamo su una collaborazione stretta ed eccellente con gli altri musei della città: il Mambo, il Museo Civico Medievale, l’Archiginnasio. Ci hanno tutti prestato dei pezzi. In fondo abbiamo la medesima missione”.

Il fallimento, in termini di biglietti strappati, della mostra Bob&Nico, sorta di preapertura, concessione di Palazzo Pepoli alla Cineteca di Bologna per ospitare vita, opere e miracoli di Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, pare essere un problema superato: “L’hanno organizzata loro ed era eccessivamente bella, ma il numero di visitatori non è stato all’altezza. Ne valeva la pena anche se ha pesato molto sulle maestranze al lavoro per il restauro che ora presentiamo”.

Ma ora Palazzo Pepoli è qualcos’altro. Un percorso museale e culturale dedicato ad una ricca e spesso sconosciuta storia di Bologna, trasformatasi nel tempo, in mezzo a faide familiari (Bentivoglio, Canetoli, Marescotti, per dirne tre) che nemmeno una telenovela potrebbe riassumere, ma mai con scossoni rivoluzionari: sempre piccoli e lievi smottamenti storico-politici all’ombra, per almeno sette secoli “moderni”, del papato: “Tutto il percorso di Genus Bononiae si rifà a un tipo di civiltà e di assetto sociale e istituzionale che ancora caratterizza la nostra città”, ha punto il presidentissimo.

Con l’allestimento ideato dall’architetto Mario Bellini, e il progetto grafico curato dall’architetto Italo Lupi, la visita al museo si fa riscoperta multimediale, con tecniche espositive scenografiche ed interattive. “ Bisognerà muoversi dentro le stanze”, spiega Lupi, “non abbiamo appeso i cartelli alla parete come per i musei classici da scuola media”.

La multimedialità è un corredo che diventa quasi primadonna con l’apporto di artisti e brand riconoscibili della cosiddetta “bolognesità” come Lucio Dalla o Alessandro Bergonzoni, soprattutto per divulgare e far capire qualcosa in più senza far sbadigliare il pubblico (non) pagante: “Quanti dei 50mila studenti fuorisede hanno visitato i musei della nostra città? – chiosa Roversi Monaco – quanti bolognesi sapevano della sottomissione al papato e di Liber Paradisus?”

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