Quando nel 2009 ordinò 200mila verifiche eccezionali in due anni, il ministro Giulio Tremonti definì la sua operazione contro i falsi invalidi una battaglia contro “una spesa pubblica improduttiva”. Un’idea che confermò l’anno successivo, tentando invano di alzare il limite per ottenere l’assegno di invalidità civile dal 74% di invalidità all’85%. Ma nei mesi scorsi a dargli una mano è intervenuto il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, che ha sciorinato i risultati delle verifiche: i falsi invalidi scoperti sarebbero il 23% dei 200mila, con punte del 53% in Sardegna e addirittura del 76% a Sassari. Numeri da far paura, però sbagliati. Tanto che lo stesso comitato isolano dell’Inps ha scritto una lettera definendoli una “manipolazione strumentale, che ha rappresentato ai media una situazione lontana dalla realtà”. E aveva ragione, perché c’era stato un calcolo errato. Così lo stesso istituto è dovuto correre ai ripari dimezzando le percentuali.

E’ stata proprio l’Inps a far sapere che le prestazioni revocate erano molte di meno, circa l’11%. Ma gli interventi di Mastrapasqua, nominato dallo stesso Tremonti nel 2008, hanno fatto infuriare le associazioni dei disabili. Perché mentre il presidente sventola cifre su cifre, si susseguono le lamentele di chi non ha più ricevuto i soldi della pensione di invalidità senza mai essere stato convocato o senza aver saputo più niente della sua pratica.

La stessa Corte dei Conti, nell’analisi sull’attività dell’ente nel 2009, ammette che sulle 17 mila prestazioni già revocate (il famoso 11%), una parte consistente, circa 6mila, riguardano persone che non si sono presentate alla visita. E tra questi ci sono sicuramente anche coloro che – loro malgrado – sono morti. L’Inps afferma di aver mandato due raccomandate, che chi ha cambiato residenza deve segnalarlo e che nel 2010 le sospensioni per assenza sono scese al 7%. Ma il rischio che queste e altre persone contestino legalmente la decisione è alto.

Sono proprio i ricorsi un altro grosso problema economico dell’ente: “Mastrapasqua non si ricorda che l’Inps è la più grande fabbrica di ricorsi che ci sia in Italia”, denunciano dalla Federazione italiana superamento dell’handicap (Fish), dove sono già pronti a portare migliaia di casi in tribunale. Ad oggi i contenziosi in materia di invalidità sono circa 360mila. E l’istituto perde spesso. Nel 2010 le sentenze sfavorevoli sono state il 46%, nel 2009 il 61%. Abbiamo chiesto quanto costino queste cause perse, tra prestazioni restituite e spese legali, ma non abbiamo ricevuto risposta.

A scatenare la rabbia dei disabili è stata anche la maggiore fiscalità richiesta dall’Inps ai suoi medici. In particolare una circolare, firmata dal direttore generale Mauro Nori. Per confermare l’indennità di accompagnamento, la legge richiede che non si sia autonomi negli atti quotidiani. Ma Nori invita i dottori a non valutare tra questi le attività fuori casa perché le metropoli moderne sono “ambienti complessi”. Un’affermazione che molti hanno visto come un’interpretazione della legge, vietata ai tecnici.

L’istituto ribatte di aver solo cercato di uniformare l’applicazione delle norme, ma non tutti sono d’accordo, perfino dentro lo stesso istituto nazionale di previdenza: “Uscire a fare la spesa è un bisogno di base” risponde Francesco Ammaturo, segretario dell’associazione dei medici Inps: “Forse bisogna rivedere la regola, ma non con atto interno, perché rischiamo di finire in tribunale e perdere”.

“Basta valutare un po’ meno grave la situazione del disabile per far calare la sua percentuale di invalidità e revocargli la pensione o l’accompagnamento”, afferma Carlo Giacobini, esperto di Handylex.org. “E poi il numero degli invalidi aumenta perché crescono gli anziani. Gli over 65 sono il 53% dei disabili riconosciuti, il 73% di coloro che hanno l’indennità di accompagnamento, e chiedere l’invalidità per loro è l’unica forma di sussistenza”.

Non sono mancati neppure problemi con il sistema informatico, così che molti si sono ritrovati senza i soldi a fine mese: “Non c’è stata l’integrazione con quelli delle Asl locali, provocando gravi ritardi per chi doveva ricevere cure speciali o richiedere permessi per i parenti che lo assistono”, racconta Luigina De Santis, del patronato Inca-Cgil. Adesso le procedure stanno tornando alla normalità. O quasi: “Ci hanno chiesto di inserire noi stessi i dati nel database se le aziende sanitarie non lo faranno” racconta Ammaturo, “ma non è compito nostro e siamo già in ritardo con le visite. E se sbagliamo nella trascrizione per la troppa fretta? Roviniamo una persona e rischiamo anche l’accusa di falso ideologico”.

Riccardo BianchiFpS Media

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