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I dissidenti a Cuba

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Per i turisti, Miramar è il quartiere dell’Avana dove si trova la Casa della Musica, il Diablo Tun Tun (dopo-disco pieno di prostitute) e altre realtà – parallele e stridenti rispetto alla marcia che, ogni domenica mattina, fanno le Damas de blanco nella stessa zona, partendo dalla chiesa di Santa Rita, patrona delle “cause disperate”.

Le donne vestite di bianco hanno iniziato i cortei per ottenere la liberazione dei familiari arrestati nella “Primavera negra” del 2003, quando sembrava che Bush, alla vigilia dell’intervento in Iraq, volesse regolare i conti anche con Fidel Castro e il Comandante (o Coma-andante, come cantano i Porno para Ricardo, band dissidente) diede un segnale di forza.

Nel libro Adiós Fidel (appena pubblicato dalle edizioni Lindau), Lucia Capuzzi e Nello Scavo, giornalisti dell’«Avvenire», danno voce alla Cuba sommersa da fulgori da cartolina e indulgenze ideologiche occidentali. E repressa da Castro. Tra i metodi persecutori impressionano gli “atti di ripudio”, aggressioni organizzate di fanatici che urlano slogan rivoluzionari, riempiono di botte i dissidenti e imbrattano d’insulti i muri delle loro case. Ma ben più grave fu la morte per sciopero della fame dell’umile muratore nero e prigioniero politico Orlando Zapata, nel 2010.

O la fucilazione nell’89 del comandante Arnaldo Ochoa, accusato di narcotraffico e tolto di mezzo perché troppo popolare… Chi se ne ricorda? Fidel e il fratello Raúl hanno legato il loro destino (anche biologico) a quello del popolo e non ci sarà cambiamento se non usciranno di scena. Oggi licenziano in massa concedendo, in cambio, licenze per piccole attività. Fioriscono così professioni incredibili, come il “forrador de botones” (rivestitore di bottoni).

L’alternativa è sempre quella: emigrare o restare, vivere l’alienazione quotidiana dei tardivi esperimenti socialisti o andarsene. I turisti dai palati meno sbrigativi dovrebbero sentire il retrogusto repressivo del Cuba libre fatto con la Tropicola al posto della Coca Cola, informandosi su quel che non si vede nel controluce dello sfondo caraibico: il bianco delle damas o l’ennesimo sciopero della fame, in un paese dove si mangia comunque poco e hanno convertito l’avviso dello zoo: «non date da mangiare agli animali» in «non mangiate gli animali».

Saturno, Il Fatto Quotidiano, 8 aprile 2011

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