Perché è stato scelto, con quali modalità e soprattutto quanto costa. Parliamo del “Residence degli Aranci” di Mineo (Catania), la struttura individuata da governo per ospitare alcune migliaia di migranti in fuga dalla sponda sud del Mediterraneo. Il villaggio storicamente ospitava le famiglie dei militari statunitensi di stanza nella vicina base di Sigonella. La Marina militare statunitense lo aveva preso in affitto dalla Pizzarotti & C Spa di Parma che adesso, in piena emergenza profughi, vede nuovi ricchi affari all’orizzonte. A tale riguardo il sobborgo è stato ribattezzato “villaggio della solidarietà”.

Ma perché è stata scelta proprio quella struttura? Se lo chiedono i due senatori democratici Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, che hanno presentato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Interni, Roberto Maroni, artefice dell’accordo con l’azienda emiliana in base al cui la struttura accoglierà i profughi provenienti dal Nord Africa.

Fin dal principio la decisione del titolare del Viminale aveva suscitato un vespaio di polemiche. Intanto perché il ministro della Difesa Ignazio La Russa aveva già indicato una lista di tredici siti in cui Mineo non figurava. E poi per la reazione contraria dei sindaci di cinque comuni: Mineo, Castel di Iudica, Caltagirone, Grammichele e Ramacca.

Venendo all’interpellanza, sul come e sul perché quella struttura sia stata scelta, al momento è difficile rispondere. Sul quanto, invece, nonostante il segreto che avvolge la cifra ufficiale, c’è qualche dato su cui ragionare per giungere non a un risultato assoluto, ma almeno a ipotizzare un range di spesa.

Il villaggio e il suo proprietario. Il residence si estende su 25 ettari nella piana di Catania, ha 404 unità abitative (140 sono villette a due piani) e ha una capienza massima di 2 mila persone (ma il governo ce ne vuole stipare 7000). Ci sono poi uffici, un centro tecnologico e uno ricreativo, supermercato, caffè, chiesa, asilo e un edificio per i pompieri. Il verde, tra parco giochi per bambini e campi per sport vari (football, tennis e pallacanestro), occupa 12 ettari.

Invece la Pizzarotti & C Spa, detenuta al 92 per cento della holding Mipien Spa (presidente il cavalier Paolo Pizzarotti, che ricopre la stessa carica anche nella controllata), oltre che di edilizia, manutenzione e gestione, si occupa anche di energia, acqua e infrastrutture. E dalla natia Parma – dopo aver conquistato nel 2005 il titolo di terza impresa di costruzioni italiana preceduta solo da Impregilo e Astaldi  – si è lanciata in giro per il mondo. All’estero ha lavorato nelle tranquille Francia e Svizzera per spingersi verso fronti via via più sensibili, come Romania, Emirati Arabi, Filippine, Israele, Nigeria, Algeria, Marocco.

Nel frattempo negli anni Novanta era finita nella bufera Tangentopoli cavandola a metà: assoluzione per le tangenti Enel e patteggiamento per i lavori di Malpensa 2000. Poi c’era stata la storia delle estorsioni della camorra, con le parole del pentito Pasquale Galasso che la indicava come vittima del racket. E torto non ce l’avrebbe avuto, a giudicare da alcuni fatti accaduti a due suoi dipendenti: a un ingegnere sfondarono un timpano a forza di schiaffi e il responsabile di una filiale in terra di casalesi fu prelevato da affiliati al clan Bidognetti per convincerlo ad subappaltare a specifiche aziende.

Tutto questo, però, non ha impedito alla società di aprire cantieri “sensibili” quanto le zone all’estero in cui ha lavorato. Tanto per citarne alcuni, a Comiso ha edificato un poligono per testate nucleari e ha esteso la base aerea di Aviano e quella sottomarina della Maddalena. E se a Livorno s’è occupata della costruzione una ferrovia interna a Camp Derby, a Vicenza ha messo mano a un nuovissimo centro sanitario da 47,5 milioni di dollari specializzato nella cura degli effetti della guerra batteriologica.

Roba militare, insomma, da contractor. Per quanto in questo caso si intenda contractor del mattone e non del grilletto, come nel caso Blackwater e delle società che oggi stanno “affittando” cecchini alla Libia. Con il “caso Mineo”, invece di ricostruire su richiesta altrui, la Pizzarotti ha tuttavia mantenuto la proprietà e per dieci anni ha affittato agli States, che nel 2010 hanno però comunicato l’intenzione di levare le tende e restituire il complesso residenziale.

Qualcosa, dunque di quel patrimonio, ne andava fatto. E proprio da qui, in assenza di risposte dal governo, per avere un’idea di quanto costi la struttura alle casse degli italiani per l’emergenza profughi, si può partire dai dati economici messi a disposizione dall’Us Army: un affitto da 8,5 milioni di dollari (con lavori pubblici da 2 milioni di euro per mettere in sicurezza strade e incroci nella zona limitrofa).

Quanto costa? Qualche ipotesi sulla stima. L’impresa di Parma, dunque, salutati i militari americani, non se l’è sentita di lasciar andare il malora il suo villaggio. E allora, nella foga di affittarlo, ha provato varie carte: reinserimento di ex detenute, luogo di detenzioni per madri recluse, comunità di disintossicazione, polo universitario, edilizia agevolata, accoglienza per gli immigrati. Bingo all’ultima estrazione, proprio quando in pole sembravano esserci gli alloggi popolari grazie a 2,6 milioni di euro del piano casa del 2008, sempre targato Berlusconi. A rassicurare dell’arrivo dello stanziamento sarebbe stato lo stesso ministro Maroni, secondo quanto ha dichiarato Fabrizio Rubino, ingegnere dell’azienda, alla rivista QuiMineo.

Dunque abbiamo a questo punto due parametri per iniziare a rispondere a uno dei quesiti dell’interrogazione Ferrante-Della Seta: da un minimo di 2,6 a un massimo di 8,5 milioni di euro. C’è poi da mettere sul piatto della bilancia la parte restante del mutuo da 14 anni che la Pizzarotti ha acceso con Intesa San Paolo. Gli Stati Uniti hanno disdettato il residence di Mineo quando mancavano ancora 4 anni a che l’azienda di Parma rientrasse in toto (quanto sia però il mutuo non si sa). Ma una valutazione ulteriore la si può azzardare dalle parole dello stesso ingegner Rubino, che ha parlato di 800 euro al metro quadrato per le case. Quella cifra, moltiplicati per 70 mila di tutto il complesso abitativo, fa 56 milioni di euro. Meno l’importo già restituito alla banca dà una cifra ancora mancante di 24 milioni di euro.

Sarebbe questo dunque il valore non rientrato nelle case dell’impresa emiliana, per quanto fonti del comando di Sigonella abbiano parlato di una valutazione di 1.000 euro al metro quadro. Rifacendo tutti i conti, mancherebbero “solo” 6 milioni di euro al rientro totale sul mutuo. Aggiungendo questo importo ai due parametri estrapolati sopra, l’operazione “affitto Mineo” alle casse pubbliche passerebbe da 8,6 a 14,5 milioni di euro.

Ma stiamo parlando solo di una parte dell’esborso, soprattutto se si tiene conto dei costi dichiarati da bandi pubblici per la gestione dei Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo). Anche qui qualche numero per arrivare a una stima ancora più completa: ogni giorno di soggiorno a profugo costa tra i 40 e i 50 euro. Il numero degli stranieri ospitati nel villaggio sarebbe di 7 mila persona.

Ecco, aggiungendo questa stima alle precedenti, l’“operazione Mineo” potrebbe costare tra i 41 e 47 milioni di euro all’anno. Il tutto sempre in via ipotetica, s’intende, fino a comunicazione ministeriale. Sempre che arrivi.

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