Quella che per gli investigatori è una macchina del fango, secondo Vittorio Feltri, direttore editoriale de Il Giornale, è solamente una burla, uno scherzo innocente: “Nicola stava cazzeggiando con l’addetto stampa”. I pm che questa mattina hanno ordinato le perquisizioni in redazione e nelle case di Alessandro Sallusti e Nicola Porro, rispettivamente direttore responsabile e vicedirettore de Il Giornale, la pensano diversamente. I due giornalisti sono indagati per concorso a violenza privata ai danni di Emma Marcegaglia. Secondo i magistrati titolari dell’inchiesta, Vincenzo Piscitelli e John Woodcock, i due stavano confezionando un dossier contro il presidente di Confindustria dopo che lei aveva dato, in una serie di interviste, dei giudizi molto duri sull’operato di governo.

All’attenzione degli inquirenti ci sono una serie di telefonate e sms intercorsi fra il vicedirettore de Il Giornale e Rinaldo Arpisella, addetto stampa dell’associazione degli industriali. La Marcegaglia doveva correggere le sue dichiarazioni sull’esecutivo se non voleva che venissero pubblicate una serie di notizie compromettenti sul suo conto.

Secondo Porro le frasi intercettate sono tutte vere, ma sono state dette in maniera scherzosa: “Conosco Arpisella da una decina d’anni e da allora lo sento regolarmente. Vorrei che le tracce audio di queste intercettazioni fossero messe online, in modo che tutti possano rendersi conto del carattere scherzoso delle conversazioni che sono intercorse fra noi due”. Porro ha poi confermato di non aver fatto né di avere intenzione di fare nessuna inchiesta sulla numero uno di Confindustria.

Anche l’sms “domani super pezzo giudiziario sugli affari della family Marcegaglia” che Porro ha inviato a Arpisella era uno scherzo. “Sono andato da Sallusti e gli fatto vedere questo messaggio che diceva ‘domani vi facciamo il culo’ e ne abbiamo riso assieme”. Una versione confermata anche da Feltri: “Alessandro è venuto da me e mi ha riferito dello scherzo, gli ho detto che era un pirla e ci siamo fatti una bella risata. Il tono scherzoso che ci può essere fra un giornalista e la sua fonte è una cosa perfettamente normale nel giornalismo”.

Evidentemente non deve averla pensata così il responsabile dei rapporti coi media di Confindustria che ha preferito prestare più attenzione ai contenuti rispetto che alla forma della conversazione. E nemmeno Marcegaglia che da quelle telefonate si è senstita minacciata.

Sallusti è ancora più categorico: “Non esiste nessuna mia telefonata né con Arpisella né con Marcegaglia”. Per il direttore tutta la storia è una specie di ritorsione di uno dei due pm contro il Giornale: “Woodcock è irritato con noi per dei pezzi che abbiamo scritto”. Il primo è un articolo di Giancarlo Perna dal titolo “Woodcock, il pm delle cause perse” e l’altro un editoriale dello stesso Sallusti in cui denunciava che lui, assieme ad altri colleghi del Giornale, avevano i telefoni intercettati da due procure. “Una mia fonte che tengo riservata mi ha detto che avevo il telefono sotto controllo da parte della procura di Napoli e di un’altra del Nord”.

Feltri poi riferisce della telefonata che Fedele Confalonieri, numero uno di Mediaset e membro del cda del Giornale, gli ha fatto per conto della Marcegaglia, “Mi ha chiesto se stessimo facendo un’inchiesta a tappeto sulla presidente degli industriali. Siccome la cosa non mi risultava, l’ho rasserenato”. Insomma secondo i giornalisti coinvolti nella vicenda, né Arpisella né Marcegaglia hanno capito il tono che era tutt’altro che minaccioso. “E’ normale che i potenti si preoccupino dei pezzi che facciamo nelle redazioni – ha detto Sallusti – “spesso mi chiamano e mi chiedono se sto scrivendo di questo o di quel personaggio. Ma è inaccettabile che una procura ordini delle perquisizioni perché qualcuno si sente minacciato nell’immagine”.

Il direttore del quotidiano di Via Negri alla fine fa un paragone che nonostante “i toni scherzosi” ha un tono che suona sinistro: “Schifani ha dichiarato che si sente minacciato nella propria reputazione dalle inchieste del Fatto Quotidiano. Mi auguro di no, ma mi chiedo perché la magistratura non va a perquisire la redazione e i colleghi del Fatto”.

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