Si potrebbe definire “il collaudo dei misteri”. E’ quello datato 16 luglio 2010 che avrebbe accertato il pieno funzionamento dell’inceneritore di Acerra. La notizia di questo collaudo, del quale non si è mai parlato in questi mesi, si ricava dal sito di Impregilo, la società milanese che ha costruito il forno dei miracoli: “Merita opportuna evidenza – si legge – il positivo collaudo definitivo del termovalorizzatore di Acerra, datato 16 luglio 2010. Tale risultato costituisce un’importante evidenza dell’eccellenza qualitativa che contraddistingue l’operato del Gruppo nei suoi settori strategici, con particolare enfasi in questo caso, stante la perdurante inadempienza delle amministrazioni pubbliche competenti nel pagamento al Gruppo dei rilevanti crediti maturati per tale opera, dalla quale le stesse amministrazioni stanno peraltro ottenendo significativi benefici sia economici sia operativi”.

Un collaudo definitivo, dunque, che dovrebbe sbloccare i soldi da incassare: 355 milioni di euro. Dalla provincia di Napoli (l’ente competente nella gestione dei rifiuti), fanno sapere che nessun documento relativo al collaudo in luglio è stato acquisito, nonostante le richieste. Insomma, è un mistero. “Il collaudo funzionale dell’impianto – si legge sul sito della protezione civile – è terminato il 28 febbraio 2010. Con l’esito positivo del collaudo è terminata la gestione provvisoria. E Partenope Ambiente ha assunto la gestione definitiva del termovalorizzatore di Acerra”. Peccato che qualche settimana dopo il fatidico 16 luglio l’inceneritore si è fermato: ora è completamente spento, nonostante le rassicurazioni dell’A2a, la società che lo gestisce e che ieri ha organizzato un tour con i giornalisti, in versione embedded, per ribadire che è tutto nella norma. A meno di 24 ore dal tour, la notizia: anche la prima linea di combustione è bloccata. Delle altre due linee che lo compongono, già si sapeva. Bloccate. L’inceneritore al momento, che doveva trattare 2 mila rifiuti al giorno, quasi un terzo di quanto prodotto in regione, è morto. “Riprenderà a funzionare entro un giorno”, rassicurano dall’A2a. Anche sui collaudi in passato non sono mancate le polemiche: a presiedere la commissione collaudi c’era Gennaro Volpicelli che ha seguito l’iter di sviluppo del forno di Acerra, persona preparata e competente, ma in leggero conflitto, visto che dal luglio 2009 ha assunto il ruolo di direttore dell’Arpac, l’agenzia regionale di protezione ambiente che si preoccupa di monitorare l’aria nei pressi dell’inceneritore.

Attorno al forno di Acerra si gioca una partita di soldi. L’Impregilo, i cui ex-vertici sono sotto processo per la disastrosa gestione dei rifiuti, deve incassare 355 milioni di euro dalle istituzioni, regione Campania o protezione civile che dovranno acquistare la proprietà dell’impianto. Qualcuno aspetta i soldi. In Impregilo c’è Igli Spa, dentro il gruppo Gavio, Benetton e Ligresti, tra i protagonisti anche dell’avventura in Cai. Ma un impianto fermo, come quello di Acerra, indurrebbe ad una verifica di una commissione indipendente sulla reale efficienza della struttura, prima di investire una somma così consistente.

Prima che si diffondesse la notizia che anche il primo forno è ko, un dirigente interno dell’A2a, che preferisce l’anonimato, dichiarava: “Altro che manutenzione. Fisia Babcock, che ha costruito il termovalorizzatore per conto di Impregilo, non ha messo le adeguate protezioni contro i fumi acidi prodotti dall’incenerimento della spazzatura. Immagino per risparmiare soldi o tempo. Inevitabilmente due forni su tre, il secondo e il terzo, sono saltati. Sono pieni di buchi. Vanno rifatti e per questo sono fermi. Quanto al primo, è piuttosto malmesso anch’esso. Stiamo facendo il possibile per tirare avanti, ma non escludiamo affatto che possa cedere da un momento all’altro”. E, infatti, oggi si è fermata anche la prima linea. Problemi anche alle caldaie che, si vocifera in assoluto anonimato, sarebbero made in China. Sarebbero. Le contraddizioni di un ciclo dei rifiuti mai avviato sono legate alla mancata politica di riduzione, anche con ordinanze ad hoc a partire da imballaggi e contenitori di plastica, fino all’assenza completa di un impianto di compostaggio in regione.

In un territorio a “libertà vigilata” , dove se ti avvicini a una discarica o a un inceneritore vieni fermato, la gestione di Bertolaso non ha prodotto, infatti, neanche un impianto per il trattamento della frazione umida che rappresenta il 35-40% dei rifiuti e chi raccoglie l’umido in Campania deve portarlo in Sicilia spendendo fino a 240 euro a tonnellata. Uno scandalo nello scandalo, un fiume di denaro sperperato in trasporti e società che strozzano le già difficili finanze dei comuni.

di Nello Trocchia e Tommaso Sodano (autori del libro La Peste dal 29 settembre in tutte le librerie)

Articolo Precedente

Rom bastardi

next
Articolo Successivo

Studio legale camorra, la zona grigia
che fa affari con il clan dei Casalesi

next