L’ennesimo dibattito sulle riforme istituzionali, almeno, non è stato noioso. Com’era prevedibile l’invito a partecipare alla Festa democratica rivolto dal Pd al presidente del Senato Renato Schifani non è passato sotto silenzio. Ancora prima che la terza carica dello Stato entrasse, insieme a Piero Fassino, nella sala “Norberto Bobbio” allestita in piazza Castello, alcun decine di persone (grillini, Popolo viola, movimento della Agende Rosse, “Qui Milano libera”, ma anche semplici cittadini) premono per entrare nell’area dibattiti (un tendone con ampie aperture all’esterno). Il servizio d’ordine fa scudo, il segretario provinciale del Pd Gioacchino Cuntrò, il sindaco di Settimo Torinese Aldo Corgiat, l’ex presidente del consiglio regionale Davide Gariglio (e tanti altri volti noti del Pd torinese) cercano di arginare la contestazione. Ma la mediazione non porta i risultati sperati: Schifani sale sul palco e dal fondo del tendone parte il coro “Fuori la mafia dallo Stato”.

Sono da poco passate le 16 e ci vogliono almeno dieci minuti perché il dibattito possa cominciare. Schifani, apparentemente, non tradisce emozioni, Fassino invita alla calma, ma il più arrabbiato è decisamente Giuliano Giubilei, il moderatore: “Fatevi sentire – invita i presenti non contestatori – applaudite, non permettete a poche persone di coprire una platea come la vostra”.

La parola subito al presidente: “Ringrazio il Pd – esordisce – perché questo è il secondo invit…”. Le grida dal fondo gli impediscono di continuare. Gli organizzatori decidono di permettere l’accesso ad alcune persone, in particolare quelli delle Agende rosse, che le terranno in vista per tutta la durata del dibattito. Un ragazzo, con tanto di coccarda del Pd sul bavero, viene cacciato a spintoni da un servizio d’ordine un po’ nervosetto. Fuori dal tendone si vede Davide Bono, capogruppo del Movimento a 5 Stelle in consiglio regionale: tenta di riportare la calma almeno tra i “suoi”. Intanto arriva la polizia in tenuta antisommossa.

Fassino attacca a parlare di riforma del sistema parlamentare, di Senato federale e di cose così. La parola torna a Schifani: “La politica deve tornar…”. E di nuovo giù fischi e urla: “Mafioso” è l’appellativo più gettonato per l’illustre ospite. A quel punto Giubilei si arrabbia: “Siete fascisti!”. E poi, rivolto alla platea: “Zittiteli, qui c’è chi ha il diritto e il dovere di parlare!”. Fassino cerca di ricucire: “Giubilei ha usato parole forti – dice – ma in questi giorni leggiamo di contestatori organizzati spediti da Fini. Giustamente li chiamiamo squadristi, ma quello che state facendo voi è la stessa cosa”. Fino all’immancabile: “Così fate un favore a Berlusconi!”. L’ex segretario perde la calma quando, all’ennesimo riferimento alla mafia, sbotta: “Noi siamo il partito di Pio La Torre e Piersanti Mattarella, non accettiamo lezioni di antimafia da nessuno!”.

È passata quasi mezz’ora, il dibattito – alla fine – scorre senza grossi intoppi. Tempo per ascoltare Fassino parlare di probabili elezioni anticipate, di nuovi Ulivi e alleanze possibili e di sentire Schifani arretrare su quanto affermato tempo fa sul Corriere della Sera a proposito di eventuali incarichi tecnici da parte del Quirinale in caso di crisi di governo: “Giorgio Napolitano è un grande statista e deciderà secondo le norme della Costituzione reale e attuale”.

Sono le 17, il dibattito è durato meno di 40 minuti invece dell’ora prevista. La scorta preleva Schifani e lo carica in macchina. Fassino non si pente dell’invito: “Non vedo perché non debba parlare chi la pensa diversamente da noi. L’altro giorno c’è stato Galan e tutto è filato liscio”. Vero, ma Spatuzza ha parlato di Schifani, non di Galan. In piazza Castello, intanto, proseguono le discussioni tra contestatori e chi contesta i contestatori, sotto l’occhio della polizia. Alla fine le parole più sensate le dice un pensionato di passaggio: “Ma perché lo hanno invitato?”.

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