“Ogni giorno in Honduras andavo ai funerali di qualcuno. La mia relazione con la morte è stata stravolta per documentare le violenze”. Con queste parole Nino Oliveri, fotografo e attivista del collettivo Italia-Centro America, raggiunto da ilfattoquotidiano.it racconta il suo ultimo periodo vissuto pericolosamente.

A un anno dal colpo di Stato del 28 giugno 2009, quando su ordine della Corte costituzionale l’esercito destituisce ed esilia forzatamente il presidente Manuel Zelaya, l’Honduras è piombato in un clima di repressione violenta. Iniziata con l’uccisione di Walter Tróchez, difensore dei diritti umani tra i primi a denunciare le violazioni nel paese, e continuata in un clima da tutti contro tutti. Squadroni della morte che colpiscono gli oppositori del governo di Tegucigalpa, latifondisti in guerra con le fasce più povere dei contadini, azzeramento della libertà di espressione e di informazione. Sono 150 gli esponenti della società civile uccisi in esecuzioni extragiudiziali dall’estate scorsa, nove i giornalisti ammazzati, cinque nel mese di marzo. Oltre settemila le vittime di torture, detenzioni illegali e sparizioni. E l’elezione di Porfirio Lobo non ha migliorato la situzione: 15 morti dopo le elezioni di novembre. Bertha Oliva, del comitato familiari dei detenuti scomparsi in Honduras, parla di un vero e proprio “piano di sterminio” in atto nel paese centroamericano. “Dietro queste operazioni c’è l’oligarchia honduregna e il regime di Porfirio Lobo” denunciano gli esponenti del Fronte nazionale contro il golpe, che parlano senza mezzi termini di “una strategia del terrore e persecuzione rivolta contro gli oppositori al colpo di Stato”.

La repressione colpisce la società civile unita nel Fronte: studenti, sindacalisti, docenti, attivisti dei diritti umani contro il latifondismo, giornalisti, organizzazioni per i diritti gay. Con un disegno preciso: colpire gli strati intermedi, non i dirigenti che hanno più visibilità nazionale. L’ultima vittima il 21 giugno scorso, un contadino delle 28 cooperative che si occupano di recuperare le terre contro il latifondista Miguel Facussè, sostenitore del governo di Lobo e proprietario di 155mila ettari di campi. “Continuiamo a tenere viva l’attenzione – continua Oliveri – attraverso una rete di comunicazione popolare che va dalle radio comunitarie, ai comitati di quartiere fino alle ong internazionali”. Giornalisti, fotografi, documentaristi lavorano ininterrotamente per rompere il muro di silenzio e la propaganda del Governo che tenta di normalizzare il Paese. Perchè l’esecutivo di Porfirio Lobo cerca di legittimarsi attraverso le radio e le televisioni che lo sostengono e cerca consenso oltre confine.

La Comunità internazionale per ora si è limitata a prendere atto degli avvenimenti nel paese latino ma le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani si sono mosse a gran voce per chiedere giustizia. Rapporti e denunce arrivano sulle scrivanie delle Nazioni Unite, alla Corte Penale Internazionale e alla Commissione interamericana dei diritti umani. Amnesty International e il Comitato per la difesa dei diritti umani in Honduras hanno chiesto di “revocare tutta la legislazione, decreti e ordini esecutivi emessi dalle autorità di fatto che colpiscono direttamente o indirettamente i diritti umani”.

Incurante delle denunce internazionali, la posizione di Bruxelles si fa sempre più imbarazzante per la decisione di avviare un piano di normalizzazione che privilegia gli affari in mezzo alla violenza. “Crediamo – ha detto l’ambasciatore dell’Unione Europea per il Centroamerica, Mendel Goldstein – che bisogna accettare la realtà delle cose ed essere pragmatici. Siamo quindi arrivati alla conclusione che le elezioni in Honduras si sono svolte in modo trasparente ed equo, come espressione della libera volontà della maggioranza degli honduregni”. E mentre ritornano a Tegucigalpa gli ambasciatori di Francia, Germania, Italia e Spagna, nessuno vuole parlare della costante violazione dei diritti umani.

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