Salvini e Famiglia Cristiana, il derby della falsa devozione

27 Luglio 2018

Dio non è proprietà di Matteo Salvini. E neppure di Famiglia Cristiana. È veramente fastidioso, lo sappiano entrambi, assistere a questo derby della falsa devozione che trasforma la ricerca del sacro – che è percorso interiore e proposta di vita – nella sfida all’O.K. Corral.

Quelli che usano il crocifisso come simbolo obbligatorio da appendere negli edifici pubblici. E come corpo contundente da calare sul cranio del prossimo loro, possibilmente “buonista” (Salvini). E quelli che pensano di usare il Vangelo secondo le proprie convenienze, anche editoriali (FC). I quali, maramaldi, si approfittano della manifesta inferiorità sul campo del ministro. Offesissimo dall’“essere accostato a Satana” perché ignaro che il vade retro della poco misericordiosa copertina si riferisce all’intimazione di Gesù nei confronti di Pietro quando costui cerca di opporsi all’uccisione del Maestro.

Entrambe esibizioni muscolari che offendono quella discrezione e riservatezza insite nella professione di fede e nella pratica dei credenti. Imbarazzati perfino quando, la domenica a messa, l’officiante chiede loro di scambiarsi un gesto di pace. Figuriamoci davanti alla gara su chi è più cristiano. Intendiamoci, se il dramma dell’immigrazione fosse una partita di calcio, non avremmo esitazione nel dichiarare il nostro tifo a favore di chi si batte per l’umanità e la solidarietà, valori universali prima ancora che religiosi.

Oltre che, naturalmente, contro il becerume di chi strilla che la pacchia è finita mentre nel mare suum accade ciò che accade. Però qui vorremmo parlare non di crociate, ma del disorientamento che sulla questione migranti (ma anche rom) attraversa anche il mondo cattolico. Dove, come i bravi colleghi di FC sanno, il verbo salviniano raccoglie un credito non indifferente poiché non si può pensare che quel 30% attribuito dai sondaggi alla Lega sia composto esclusivamente da intolleranti, da razzisti, da nazisti o da adepti a sette sataniche.

Davvero la soluzione migliore consiste nel demonizzare la narrazione che non ci piace: sbagliata quanto si vuole nei rimedi ma che attinge paura e rabbia nei problemi lasciati marcire? Davvero si pensa di convincere i tanti bravi cattolici in cerca di una bussola (e che magari sull’accoglienza non la pensano esattamente come Papa Francesco) facendo pesare loro la “superiorità morale” di chi sa sempre come spezzare il pane del bene e del male? Evitando con qualche anatema un confronto se necessario aspro nel mondo cattolico su questioni così sensibili non si rischia di fare il gioco proprio di Matteo Belzebù?

Facciamo così. Per penitenza FC pubblicherà nel prossimo numero la parabola evangelica del fariseo e del pubblicano. Il primo sazio della sua presunta giustizia ma incapace di ricevere perdono. Mentre il secondo consapevole delle proprie miserie torna a casa giustificato. Al ministro degli Interni, così orgoglioso del suo rosario verdognolo, proponiamo di recitarlo ogni sera via Facebook. Però, visto che è così pio nella versione large completa di misteri gloriosi, gaudiosi e dolorosi: 150 Ave Maria più 76 giaculatorie. Se lo fa, un bacione.

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