Ponte Morandi, il ballo delle date non serve al Paese

28 Settembre 2018

Il Movimento 5 Stelle e la Lega stanno scherzando con il fuoco. I sondaggi dicono che il governo gialloverde ha ancora il vento in poppa. La luna di miele con gli elettori prosegue. Ma, statene certi, finirà bruscamente se i cittadini – tutti e non solo i genovesi – entro poche, pochissime settimane non avranno la prova visibile e tangibile dell’apertura dei cantieri per la ricostruzione del ponte Morandi. Il decreto per Genova arrivato ieri con troppo ritardo al Quirinale contiene alcune iniziative importanti. Ma a ben vedere non è decisivo. Perché alla fine il voto all’esecutivo e al ministro M5S Danilo Toninelli verrà dato solo in base ai tempi di riapertura dell’autostrada.

Martedì 2 ottobre si svolgerà l’ultima parte del primo incidente probatorio. Da quel giorno in poi i magistrati potranno dissequestrare l’opera crollata. Ma a oggi, con il commissario dotato di poteri speciali ancora da nominare, nessuno ha chiaro per farci cosa. I tecnici sono divisi. Da una parte c’è chi dice che il lungo segmento del viadotto ancora in piedi (circa 800 metri) vada completamente demolito e poi ricostruito. Dall’altra c’è chi sostiene che sia meglio prima accertare le condizioni della struttura esistente per poi (se è possibile) rinforzarla e restaurarla, ricostruendo invece solo il pezzo di ponte distrutto. Questa seconda soluzione, a detta di molti ingegneri, avrebbe il vantaggio di evitare una demolizione gigantesca (andrebbe abbattuto solo il moncone dell’opera retto da stralli) e le complicazioni e le lungaggini legate allo spostamento e al trattamento di così tante macerie, oltretutto zeppe di pericoloso amianto. Noi non siamo tecnici. Una cosa però la sappiamo: se il nuovo commissario riterrà percorribili entrambe le strade dovrà, senza se e senza ma, scegliere quella che consente di riaprire prima l’autostrada al traffico.

Ogni altra chiacchiera è a zero. Anche perché il rosario di dichiarazioni di queste settimane è stato francamente urticante. Quarantott’ore dopo il crollo il sottosegretario alle Infrastrutture, Edoardo Rixi (Lega), prometteva: “Entro il 2019 i genovesi avranno un nuovo viadotto sul torrente Polcevera”. Il 18 agosto Autostrade (ora esclusa dalla ricostruzione) assicurava invece di avere pronto un progetto in grado di ultimare il tutto ad aprile 2019. Mentre il 4 settembre il governo si era impegnato a ricostruire “in tempi non superiori a un anno”, di fatto garantendo l’inaugurazione a settembre del 2019. La scorsa settimana, il governatore ligure Giovanni Toti (Forza Italia) ha però avvertito: per finire l’opera “ci vogliono dagli 11 ai 15 mesi”, spostando l’asticella almeno a dicembre del prossimo anno.

Anche sui tempi della demolizione (parziale o totale che sia) si è assistito allo stesso inverecondo balletto: il 25 agosto Rixi sosteneva che si sarebbe potuto cominciare a settembre e il 15 settembre Toti scriveva che entro fine mese si sarebbe dato il via alla demolizione per poi aprire i cantieri a novembre. Arrivati a questo punto è però difficile pensare che si faccia qualcosa prima del 10-15 ottobre, spostando così il via al cantiere a fine novembre.

Bene, Lega e 5Stelle dovrebbero ricordare che dal prossimo febbraio saremo in campagna elettorale per le Europee. Non bisogna avere la sfera di cristallo per capire che la ricostruzione del ponte Morandi influenzerà le scelte degli italiani. Dopo anni di chiacchiere, i cittadini pretendono giustamente dei fatti. Il viadotto in funzione è un fatto. Tutto il resto no.

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