In fuga

Embraco, dietro il trasloco a Est nessuna crisi: in 4 anni utili raddoppiati. E gli stipendi pesano solo il 7% del fatturato

L’azienda che trasloca nell’Est Europa per pagare meno gli operai in realtà è un gioiello, tanto che presta soldi alle società del gruppo

21 Febbraio 2018

È il caso lampante ed emblematico del capitalismo finanziario più rapace, capace di distruggere occupazione pur di continuare a inanellare ogni anno che passa profitti sempre più copiosi. La vicenda Embraco, l’azienda di compressori per frigoriferi di Chieri (Torino), posseduta dal colosso del bianco Whirlpool, che vorrebbe cancellare con un colpo di matita i suoi 500 dipendenti, di fatto l’intero stabilimento, si può sintetizzare solo così.

Lì a Chieri nel Torinese non c’è crisi, l’azienda va più che bene, non ci sono debiti con le banche, il patrimonio cumulato negli anni è abbondante. Eppure l’azienda freme per andarsene e spinge per dichiarare uno stato di crisi del tutto fantomatico. Questa crisi la vedono, o meglio se la inventano, i manager del colosso mondiale Whirlpool nelle loro strategie globali di profittabilità a tutti i costi. A vedere i bilanci di Embraco la decisione di mandare a casa un intero stabilimento appare surreale. Uno schiaffo al buon senso.

L’azienda torinese marcia che è un piacere. Nel 2016 ha chiuso i conti con un fatturato di 358 milioni di euro e con un utile netto di 14,2 milioni. Per essere una tipica industria manifatturiera la sua redditività industriale si colloca ai piani alti. Su quei quasi 360 milioni di fatturato infatti il margine industriale lordo, quello che misura la redditività del business tipico, si attesta a 26 milioni. Un livello di oltre il 7% che non è certo poca cosa. Basti pensare che nel settore degli elettrodomestici la marginalità industriale, in media, a fatica arriva al 5 per cento.

Embraco tra l’altro non ha debiti bancari, non paga oneri finanziari e quindi residua un utile operativo alto di 21 milioni. Ma il quadro dei conti del 2016 non è episodico. Il buon passo di marcia dura da tempo. Anzi è quasi un crescendo rossiniano. Dal 2012 al 2016 l’azienda controllata dalla Whirlpool Brasil ha più che raddoppiato gli utili netti da poco più di 6 milioni ai 14,2 dell’ultimo rendiconto. L’utile operativo ha fatto ancora meglio. Da 7 milioni a 21 milioni negli ultimi 4 anni. Triplicato. Insomma, non c’è nessun problema di scarsa redditività, al contrario. Eppure l’ossessione dei vertici aziendali è quella di comprimere i costi fino alla spasmo.

Quanto pesano i poco più di 500 dipendenti sui bilanci del gruppo? Il loro costo è di soli 26 milioni che significa un impatto sul fatturato modestissimo, del 7,2%. Ma per Embraco è troppo. Meglio la Slovacchia probabilmente dove qualche punto percentuale in meno sulle buste paga si può strappare. Stato di crisi, mobilità e infine addirittura i licenziamenti. Per un’azienda che ha cumulato, grazie agli utili prodotti nel tempo, un patrimonio netto di ben 124 milioni, l’aut aut è uno schiaffo o meglio una beffa colossale. Crisi? Ma dove? L’azienda torinese, non paga dell’ottimo stato di salute finanziaria, fa pure da banca per le consociate del gruppo Whirlpool. Come scrivono nel bilancio, il surplus di cassa generato a Chieri viene girato come credito alla Indesit International. E che credito. Ben 57 milioni di euro, il doppio dell’intero costo del lavoro di un anno dei 500 dipendenti. Più che un insulto.

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