Alessio Boni racconta l’Uganda che non ci si aspetta: “Primo Paese in Africa per accoglienza e integrazione dei migranti. Altro che Italia”

Alzi la mano chi sa che l’Uganda è il primo Stato in tutto il continente africano per accoglienza e integrazione di rifugiati. Questo Paese dell’Africa orientale, che confina con alcuni degli Stati più devastati da guerre e cambiamenti climatici del pianeta, come Sud Sudan, Ruanda e Congo, ha accolto oltre 1,5 milioni di persone dando loro documenti, terra e accesso a servizi essenziali. Lo scorso dicembre Alessio Boni è partito, insieme a Roberto Vignola di Cesvi, alla volta di Palabek, un campo, ma sarebbe meglio dire una città, di 80.000 persone. L’attore ha ideato ed è il protagonista del documentario, Lo sguardo dell’altro, che sarà proiettato il 5 giugno alle 21.15 all’Anteo di Milano (qui per prenotare gratis i biglietti) con il sostegno della Fondazione Il Fatto Quotidiano. Con Boni abbiamo parlato di Africa, di Palabek, ma anche di Italia, “un Paese ripiegato su stesso, diffidente verso gli altri”.
Lei è ambasciatore di Cesvi dal 2011 e prima ancora ha lavorato con Unicef, Medici senza frontiere e altre ong con le quali ha girato il mondo. Cosa la spinge a partire?
Sono attratto dall’altro, dallo sguardo dell’altro, ecco il perché del titolo del documentario. Perché mi interessa di più ciò che è distante da me. Certo, ho viaggiato anche in Europa, ma mi interessa di più vedere gli occhi di qualcuno che non ha idea di chi io sia e mi apre la porta solo perché si fida del mio altro sguardo.
Che cosa l’ha colpita di Palabek?
Ci sono migliaia di storie da raccontare, ma mi è rimasta impressa una donna che ha ereditato 60 ettari di terra e ha deciso di tenere per sé un ettaro e dare il resto ad altri del campo per coltivare e venderne i frutti. Questo è progresso: mettersi insieme, cooperare perché o ci muoviamo tutti insieme o non si fa niente. In Uganda questo senso di umanità non si è perso, anzi, è un retaggio ancestrale.
In Italia invece…
Sento che si va alla deriva totale. Mio padre mi ha sempre raccontato che nel dopoguerra c’era una solidarietà, un senso di ospitalità, un desiderio e una necessità di aiutarsi l’uno con l’altro che nel tempo si è perso. L’immigrato viene ghettizzato, buttato nelle periferie, senza alcuna prospettiva se non andare a ingrassare la manovalanza della criminalità o accettare qualche euro per raccogliere pomodori. Così si creano le basi per quel malumore, quel malessere che può sfociare in violenza come è accaduto nelle banlieue parigine. Nessuno può giustificarli, ma dobbiamo farci molte domande sui motivi per cui certe cose accadono.
L’Italia ha un triste primato in Europa: è il primo Stato ad aver esportato i Cpr in Albania per i migranti. Altre nazioni vogliono copiare questo “modello”…
Sono due le cose che non si possono scegliere: dove nascere e in quale famiglia. Hai scelto di nascere in Italia, nella tua famiglia? Assolutamente no, potevi nascere in Afghanistan, in Messico, in qualsiasi posto. Noi siamo stati solo fortunati. Allora vogliamo capire chi, soprattutto nei due terzi del mondo non occidentale, non è stato fortunato quanto noi?
Un poeta inglese del 600 diceva: “Nessun uomo è un’isola”…
Esatto! L’uomo in sé non è nulla, ma è avvelenato dalla sua hybris, dalla sua arroganza. Non c’è l’aiuto reciproco, c’è la tracotanza di fregarti, di ucciderti, di schiacciarti per avere la vetta più alta, il grattacielo più alto, lo yacht più lungo, tutti simboli fallici, tra l’altro.
L’Italia è un Paese razzista?
Non saprei come definirci. Titubanti? Diffidenti? Non so come spiegarlo. L’abbraccio dell’italiano è lievemente d’apparenza, ti accoglie col sorriso, ma non c’è vera fiducia, apertura all’altro indipendentemente dal colore della pelle o dalla religione. L’ospitalità, lo sapevano bene i greci, è la più alta forma di civiltà di un popolo, ma in Italia accoglienza e integrazione non ci sono, ognuno tragga le sue conclusioni.
(Alessio Boni presenterà il documentario “Lo sguardo dell’altro” il 5 giugno alle 21.15 all’Anteo Di Milano. Segue discussione con la presidente di Cesvi Gloria Zavatta, il vice presidente Roberto Vignola e la moderazione della giornalista del Fatto Quotidiano, Elena Rosselli)