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Beppe Sala salvi Milano levando la querela a Barbacetto

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Conosco Beppe Sala dal 2015, l’anno dell’Expo di Milano. Alle primarie indette dal centrosinistra per designare il successore di Giuliano Pisapia mi ero impegnato in favore di un’altra candidata reputando un passo indietro, nella città che aveva ribaltato la lunga stagione berlusconiana, passare da un sindaco politico militante a un sindaco manager. Vinse Beppe Sala (grazie alla solita divisione nelle file della sinistra) e accettammo il responso delle primarie. Mi fu chiesto, nella sfida con la destra dell’anno successivo, di assumere il ruolo di garante del programma elettorale di Sala. Eravamo in tre (Marilena Adamo, Mario Rodriguez e io). Come vi sarà chiaro, in politica il garante è figura poco più che ornamentale. Di certo in quel programma non era contemplato che potessero elevarsi nei cortili di alcuni caseggiati milanesi dei grattacieli al posto dei capannoni. Così, autocertificati alla voce “ristrutturazione”.

Sala mi sarà testimone che mai nel decennio trascorso gli ho chiesto, non dico un incarico, ma neanche un favore. E se vi ho annoiato finora con questa pedante esibizione di referenze è solo perché oggi una richiesta per il sindaco ce l’ho: la revoca immediata dell’imbarazzante delibera di giunta del giugno scorso contro Gianni Barbacetto, querelato in sede civile con richiesta di risarcimento danni, si badi bene, solo per i post da lui pubblicati sui social dopo l’apertura dell’inchiesta giudiziaria sull’urbanistica, e non per gli articoli del Fatto Quotidiano in cui scriveva le medesime cose; così da prendersela con lui solo.

La querela risale a sei mesi fa, quando Sala era convinto di far approvare a larga maggioranza in Parlamento la legge “Salva Milano”. Se anche volessimo considerarla una maniera sbagliata, intimidatoria, di proclamare che nessun funzionario comunale aveva ottenuto tornaconti illeciti dai permessi forniti ai costruttori, ora coerenza vuole che la giunta torni sui suoi passi. A Palazzo Marino ho assistito al Consiglio comunale in cui si è dimesso l’assessore alla casa Guido Bardelli, mentre il sindaco Sala dichiarava che la sua rinuncia al “Salva Milano” non sarebbe una resa bensì: “…d’ora in poi ci metteremo in attesa”. Resa, attesa, che differenza c’è? La giunta milanese ha davvero bisogno di attendere che la Procura porti a termine l’inchiesta sulle violazioni delle normative urbanistiche vigenti? Se anche tutti gli indagati risultassero infine prosciolti, non è forse emerso platealmente un connubio di interessi fra titolari di cariche pubbliche e loro attività private, una consuetudine tra funzionari e costruttori, tali da richiedere alla politica una bonifica del settore? Segnalazioni in tal senso sono venute da urbanisti, architetti, avvocati estranei al solito giro, guardati con fastidio dalle vecchie conoscenze milanesi.

Denunciare le storture del “modello Milano”, gli effetti indesiderati di natura sociale e ambientale dell’attrattività esercitata sugli investimenti stranieri, suscita in questi circoli una reazione di lesa maestà. Il libro di Gianni Barbacetto, uscito con ritardo dovuto all’esitazione di chi non se l’era sentita di pubblicarlo così com’è, anticipava le problematiche scoperchiate dall’inchiesta giudiziaria. Non sarebbe stato meglio cominciare a discuterne prima? Lunedì in aula alcuni consiglieri del Pd e dei Verdi hanno chiesto a Sala di ritirare la querela contro Barbacetto, facendo seguito a un appello sottoscritto da vari comitati di quartiere e da personalità che collaborano con la giunta come Nando dalla Chiesa, Francesca Zajczyk, David Gentili. Delude che né il Corriere della SeraRepubblica abbiano pensato che questo attacco alla libertà d’informazione li riguardasse.

Sento dire: andiamoci cauti perché questa storiaccia potrebbe riconsegnare Milano alla destra. Non c’è dubbio che la destra abbia fra i suoi propositi un’offensiva su Milano intesa come roccaforte del detestato progressismo democratico oltre che del potere finanziario. Basti pensare all’Ops di Monte dei Paschi su Mediobanca o agli eredi delle dinastie Berlusconi e La Russa nei Cda della Scala e del Piccolo Teatro, in vista della disfida sul sindaco del dopo Sala. Scadenza prevista nel 2027, a meno che una tempesta giudiziaria non provochi dimissioni anticipate della giunta. Beppe Sala col “Salva Milano” ha creato al Pd di Elly Schlein una grana equiparabile a quella rappresentata da Vincenzo De Luca in Campania. Con la differenza che Sala non ha il professionismo politico di De Luca e neanche la sua faccia tosta.

Il centrosinistra milanese ha tutto l’interesse ad aprire subito una discussione pubblica sulla politica urbanistica. Anche perché la destra non fa altro che ripeterlo: sta dalla parte dei costruttori e promette loro il condono che ha già votato sotto le mentite spoglie di “Salva Milano”.

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