Usaid, il “soft power” americano: denaro a media e associazioni

Pochi dei 10 mila dipendenti che stanno perdendo il lavoro ci staranno pensando, ma la guerra dichiarata da Trump a Usaid è una storia che si ripete. Trent’anni fa, nel 1994, l’agenzia rischiava di chiudere sotto la spinta dei repubblicani, che avevano preso il controllo del Congresso nelle elezioni di metà mandato sotto la presidenza Bill Clinton. La destra del Gop di allora, come oggi Donald Trump e Elon Musk, agitavano lo spettro di sprechi, dicevano che non era più utile dopo la caduta dell’Urss, tagliavano fondi e fecero licenziare molti dipendenti. Clinton alla fine salvò Usaid, mentre dagli ambienti neocon trasversali partiva il progetto dell’allargamento della Nato all’est Europa.
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Trent’anni dopo, il presidente e il suo “first buddy” del Dipartimento per l’efficienza governativa (Doge), con il segretario di Stato Marco Rubio, hanno accusato l’U.S. Agency for International Development di essere “un’organizzazione criminale”, un covo di corrotti che sperperano denaro pubblico in iniziative contrarie all’interesse nazionale. “La sinistra radicale” non può fare nulla per salvare Usaid, sferzava Trump ieri su Truth: “Va chiusa. I soldi sono stati spesi in modo così fraudolento che è completamente inspiegabile. La corruzione è a livelli raramente visti prima”. Prima Trump e Musk hanno puntato il dito contro il denaro speso in iniziative all’estero a favore dei diritti civili e lgbtq+, poi hanno accusato Usaid di finanziare media di sinistra e contrari ai valori del Make America Great Again.
Il Maga ripudia Usaid anche perché lo vede come strumento di ingerenza: di un soft power di cui dice di voler fare a meno. Non è un mistero che l’agenzia di sviluppo estero Usa funzioni in accordo con gli interessi geopolitici statunitensi. Al pari di quello che fanno tutte le agenzie di cooperazione di grandi potenze, dal China International Development Cooperation Agency cinese al Rossotrudnichestvo del ministero degli Esteri russo, alla Qatar Charity o al fondo per lo sviluppo dell’Arabia Saudita. John F. Kennedy la creò nel 1961 proprio per contrastare l’influenza dell’Unione sovietica: diventò l’esecutrice del Piano Marshall. Da allora, tutti i presidenti hanno sempre definito l’agenzia come complemento essenziale della loro politica estera. “Il primo obiettivo è sempre la sicurezza nazionale”, conferma al Fatto Larry Garber, analista per 15 anni dirigente a Usaid tra gli anni 90 e i primi 2000. Il ruolo di Usaid è anzi cresciuto dopo l’11 settembre, sotto presidenza di George W. Bush che la usò nelle sue guerre in Afghanistan e Iran. Il budget è lievitato da 7 miliardi nel 2001 a 42 nel 2024. Viste le sue dimensioni, è forse l’ente più controllato d’America. Presenta ogni anno al Congresso le sue richieste di bilancio e il dettaglio delle iniziative. Lo stesso Trump, durante il primo mandato, è stato generoso di lodi e fondi, sostenendo in particolare i progetti in partnership pubblico-privato e creando un’iniziativa per l’empowerment delle donne affidata a sua figlia Ivanka. Come ha detto in chiaro Liz Cheney (repubblicana anti-trump che ha fatto l’endorsement a Harris) in una polemica scoppiata sui social con Musk: Usaid ha fatto “vincere agli Usa la guerra fredda”. E forse punta a farne vincere altre.
Tra i primi beneficiari oggi ci sono l’Ucraina, l’Etiopia, la Giordania, il Congo e la Nigeria, Siria e Libano. Nel documento di bilancio 2025, accanto a impegni contro la fame e il cambiamento climatico, Usaid indica tra le sue priorità la “competizione” con la Cina, il “contrasto all’influenza dannosa del Partito comunista cinese” e “il fallimento strategico della Russia in Ucraina”. I destinatari dei fondi di Usaid sono soprattutto Ong che lottano contro l’Hiv, la fame, per i diritti di donne e minoranze. Ma anche organizzazioni giornalistiche. Missione iniziata nel 1980 in America Latina, proseguita nel 1990 in Russia e nei Balcani. Secondo dati citati da Reporter senza frontiere, nel 2023 Usaid ha finanziato 6.200 giornalisti, 707 organi di informazione non statali e 279 Ong che si occupano di media in oltre 30 Paesi. Per il 2025 aveva chiesto 268,4 milioni di dollari, pari a quanto speso dall’agenzia dal 1985 al 2001. Si tratta non di azioni, ma di progetti di formazione e grant, che sono andati anche a gruppi investigativi che hanno tirato fuori inchieste come i Panama Papers. I progetti principali sono in Africa, Sudest asiatico, ma anche in Ucraina, Georgia, Bielorussia.
Musk e Trump hanno accusato Usaid di finanziare media “liberal” a loro sgraditi, come la Bbc, il New York Times(2 milioni), Politico (8 milioni), l’Associated Press, Reuters. In realtà si trattava di acquisto di abbonamenti “pro” alle testate da parte del governo federale, neanche da Usaid. I 3 milioni andati al gruppo Bbc invece erano destinati alla fondazione Bbc Media Action che sostiene la libertà di stampa nel mondo (non democratico), separata da Bbc News (finanziata dai contribuenti britannici).
Qual è la ragione dell’attacco a Usaid da parte di Trump II? “Forse volevano un trofeo da mostrae”, spiega Garber, che fa notare come negli ultimi anni nella sfera Maga hanno avuto molto eco campagne dei media russi contro Usaid. Ma anche il fatto che a occuparsi di smantellare l’Agenzia c’è oggi Peter Marocco, ex funzionario di Trump che ha il dente avvelenato dopo aver avuto numerosi scontri durante la prima amministrazione Trump. La motivazione appare però essenzialmente politica. Come negli anni 90: “Il capitolo sull’assistenza estera del Project 2025 della Heritage Foundation segnalava già il desiderio di ristrutturare radicalmente l’assistenza estera”. Ristrutturare, non annullare. Non sembra credibile che Trump rinunci a proiettare gli interessi Usa attraverso gli strumenti della cooperazione internazionale. Probabilmente il progetto è ricondurre l’Usaid sotto il Dipartimento di Stato di Marco Rubio, rispolverando il vecchio progetto della destra repubblicana dei 90. E anche rafforzando il controllo politico dell’amministrazione sui miliardi spesi all’estero. E su quello che ci si fa.