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Medicina, c’è il dito del numero chiuso e la luna delle private

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Il governo ha di recente modificato le modalità di selezione per l’accesso a Medicina. Non è la scomparsa del numero chiuso (parla a vanvera Salvini), ma la liberalizzazione delle iscrizioni nel primo semestre dopo il quale ci sarà una selezione a numero chiuso. Che dunque è solo posposto. C’è del buono e c’è del cattivo in questa scelta. Il buono è che la selezione verrà fatta sulle materie mediche e gli esami e non su quiz, magari di cultura generale. Il cattivo è: a) che la graduatoria per merito non mette tutti sullo stesso piano, un 27 a Pavia potrebbe non essere peggio di un 30 a Firenze, un 28 a Catanzaro non essere meglio di un 26 a Bologna, e viceversa; b) il rischio che sui voti che faranno la selezione pesino le raccomandazioni e che siano facilitati i figli di papà; c) che con la scusa che non ci sono spazi (vedi sotto) il primo semestre forse sarà telematico!

Chi è per il numero chiuso sostiene che non ci sono le strutture sufficienti per accogliere tutti. Obiezione però debole come quella di chi dice più posti uguale meno qualità (ahimè anche Gabanelli): negli anni Settanta/Ottanta gli iscritti a Medicina erano due o tre volte quelli di oggi e non si dica che le strutture di mezzo secolo fa erano migliori di adesso. Né la qualità dei medici di allora era minore, anzi. La selezione naturale e i disincentivi per i fuoricorso con tasse più alte farebbero bene da filtro.

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Piuttosto bisognerebbe invece mettere un freno all’aumento degli iscritti nelle ben 9 università private di Medicina dove negli ultimi 5 anni c’è stato l’aumento più forte: da 700 a 4254, un quarto dei 20mila ammessi. Alcune di esse non hanno le strutture per far fare pratica ai loro studenti (Kore di Enna e Lum di Bari), che inviano quindi negli ospedali pubblici: le rette però vanno tutte ai privati. In medicina poi le specializzazioni sono troppe e la formazione frammentata. A cosa servono 1436 scuole di specialità? Sono tutte all’altezza? Gli enti che le valutano dicono che 1/4 andrebbe chiuso e quasi la metà è autorizzata con riserva.

Se si guarda con più attenzione ci si accorge che tra i laureati in troppi scelgono la Chirurgia plastica: ma davvero il SSN ha bisogno di tanti chirurghi estetici mentre gli ospedali si svuotano nei reparti vitali? Proprio qui un filtro sarebbe più che mai necessario. Ma la frammentazione non risparmia nemmeno i corsi di laurea dove una volta c’erano materie, come Patologia Medica o Anatomia, che lo studente doveva studiare per sei o sette mesi prima di poter affrontare l’esame. Ora sono spezzettate in tanti esamini con tempi di preparazione meno impegnativi, a volte nemmeno un mese: è più facile dimenticare presto ciò che hai studiato per poco tempo.

C’è poi chi resta fuori dalle specialità: nel 2010-2019 ben 11.652 neolaureati. Il paradosso è che dopo 6 anni di studio questi medici non possono nemmeno fare i concorsi, riservati agli specialisti (ora anche agli specializzandi). Poi accade che negli ospedali meno attraenti i pochi concorsi rimangano inevasi e che, è l’assurdo, per coprire i vuoti magari si prendano gettonisti, non di rado figure non specializzate, pagandole fior di quattrini. Ma allora perché non aprire (come accadeva una volta) i concorsi a tutti e poi chi ha più titoli vince? Perché i neolaureati, pur abilitati alla professione, possono fare solo guardia medica o sostituzioni di medicina di base?

Infine una parola sulle prestazioni in farmacia. Gli Ecg nelle farmacie lombarde sono gestiti da una società che li fa leggere ai medici pubblici dei Riuniti di Brescia (nel tempo libero) con un rimborso SSN anche doppio di quello ambulatoriale pubblico.

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