Il Fatto di domani. La “manovrina” di Meloni è generosa solo con le marchette. Il Ponte della discordia divide la Sicilia di Schifani da Salvini

Di FQ Extra
13 Dicembre 2023

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MELONI IN AULA: OLTRE DRAGHI C’È DI PIÙ. E COME OGNI ANNO NON MANCANO LE “MARCHETTE”, LA MAGGIORANZA SFUGGE ALLA SOBRIETÀ. L’attenzione dei giornali mainstream è tutta concentrata sull’attacco di Giorgia Meloni a Mario Draghi, accusato di aver ridotto la politica estera italiana a “farsi fotografare con i leader mondiali”. Meloni ha ritrattato spiegando diffusamente che l’attacco era a Giuseppe Conte, al Pd e ai 5 Stelle. La critica a Draghi può essere anche giustificata, ricordando il precedente del “Mr Obama” di Berlusconi. Ma di politicamente rilevante c’è stato molto altro nelle parole di Meloni in Aula, nelle due relazioni in vista del Consiglio europeo che inizia domani a Bruxelles, tra le scintille con l’opposizione (anche sul Superbonus). Per esempio, la sequela di giravolte sul Mes e sulla trattativa europea sul Patto di stabilità, su cui la premier è arrivata a ipotizzare addirittura di mettere il veto, cioè bloccare la revisione e restare con le vecchie regole. Sul Fatto di domani leggerete un ampio fact checking delle dichiarazioni di questi ultimi due giorni della premier italiana. Ci occuperemo poi ancora della manovra di bilancio. Nella notte, infatti, sono arrivati gli emendamenti dei relatori, nonostante l’esecutivo avesse imposto alla sua maggioranza di non presentare alcuna modifica in aula per procedere il più spediti possibile. Invece, anche stavolta seppur in tono minore, sono arrivati i regali e le mancette infilate all’ultimo nel testo di bilancio, che sarà discusso con qualche giorno di ritardo e costringerà deputati e senatori a limitare le loro vacanze di Natale.


IL PONTE SULLO STRETTO DIVIDE LA SICILIA DA SALVINI: SCONTRO SUI FINANZIAMENTI. Nelle pieghe della manovra si nasconde anche una batosta economica per la Sicilia. Sempre grazie a un emendamento, infatti, il governo ha deciso di aumentare la quota di spesa in partecipazione della Regione, che era stata prevista in un miliardo e invece è diventata 1 miliardo e 300 milioni. Il presidente (pure di Forza Italia) Renato Schifani ha protestato: “La decisione governativa per cui la quota di nostra compartecipazione debba essere di 1,3 miliardi non è mai stata condivisa dall’esecutivo regionale”. Quei 300 milioni sono tutte risorse sottratte all’Isola, lamenta Palermo. Matteo Salvini, chiamato in causa come ministro dei Trasporti e principale sponsor della maxi opera, ha scelto di affrontare la questione a muso duro: “Schifani si attivi”, dice in una nota, dove garantisce che il progetto andrà avanti come previsto. Sul Fatto di domani vedremo in che misura lo scontro produrrà ripensamenti o ritardi in un progetto già di per sé pieno di ombre.


IL “COMPROMESSO STORICO” DELLA COP28: STOP ALLE FONTI FOSSILI DAL 2050, SENZA SCARICARE BIG OIL. MA PICHETTO, MINISTRO PER CASO, PARLA DI NUCLEARE. In un certo senso, sarebbe stata storica in ogni caso, la Cop28 di Dubai. Come avevano annunciato scienziati ed esperti, le alternative erano tra “un accordo storico o un fallimento storico”, tutto dipendeva da quattro parole: “combustibili fossili” e “phase out”, cioè “uscita”. Le prime ci sono, le seconde no. Traducendo, la questione era il grado dell’impegno ad azzerare l’uso di combustibili fossili. Questo non c’era nella prima bozza, proposta dalla presidenza emiratina del vertice Onu del clima, presieduto da Sultan al-Jaber, ministro dell’Industria e anche ex ad della compagnia petrolifera nazionale. Nel testo finale, approvato dopo 300 ore di discussione, c’è invece una “riduzione ordinata fino allo zero” al 2050. Un passo avanti importante, con luci e ombre. Il bicchiere è mezzo pieno, ma poteva essere infranto. Il “Global Stocktake” menziona esplicitamente la necessità di ridurre i combustibili fossili entro il 2050 e, anche questo è importante, di prendere azioni decisive “in questo decennio critico” (cioè entro il 2035). Si riconosce la necessità di ridurre le emissioni globali di gas serra del “43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035” e “raggiungere zero emissioni nette entro il 2050”. È la prima volta che una Cop prende un impegno così esplicito (più della Cop21 di Parigi), anche se non si menzionano esplicitamente né il petrolio né il carbone. E si apre una considerevole porta per Big Oil con i progetti di cattura e stoccaggio di CO2, infrastrutture considerate dagli ambientalisti inutili e su cui il settore petrolifero punta molto per riconvertirsi lentamente. Sul Fatto di domani approfondiremo i risultati del vertice e i suoi limiti. Senza dimenticare la più che dimenticabile performance dell’inviato del governo italiano. Il ministro “per caso” dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che è andato via dal vertice un giorno prima che finisse e oggi a parte parole generiche di plauso, in Parlamento è andato a parlare ancora di nucleare.


ISRAELE, LA GUERRA AD HAMAS “ANCHE SENZA SUPPORTO INTERNAZIONALE”. LA CASA BIANCA SPEDISCE SULLIVAN. I richiami degli Stati Uniti al governo Netanyahu e al suo modo di condurre la guerra contro Hamas non faranno cambiare idea allo Stato ebraico. A sostenerlo Cohen, il ministro degli Esteri: “Israele continuerà la guerra contro Hamas con o senza il sostegno internazionale. Un cessate il fuoco, nella fase attuale, è un regalo all’organizzazione terroristica”. Così, giunti al 68° giorno di conflitto, scaturito dal massacro del 7 ottobre firmato dai fondamentalisti, con 1.200 morti e 237 ostaggi, la frattura tra Casa Bianca e governo Netanyahu appare evidente, ma di tornare a trattare con Hamas non si parla. Allo stato attuale “non ci sono negoziati in corso per un accordo” tra gli estremisti islamici e Israele per un nuovo rilascio di ostaggi. Lo ha riferito il quotidiano Haaretz. In ogni caso, Washington ha deciso di non lasciare troppo campo libero a Netanyahu; il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, arriverà domani per incontrare il premier e il gabinetto di guerra. L’arrivo di Sullivan avviene ad un giorno di distanza dalle critiche del presidente Joe Biden, il quale a chiare lettere ha affermato come la guerra a Gaza contro Hamas, con le morti indiscriminate dei civili, stia allontanando le simpatie del mondo verso lo Stato ebraico. Secondo alcuni media, Sullivan potrebbe portare un ultimatum a Netanyahu: concludere il conflitto in poche settimane. Non sono solo gli americani a premere sul primo ministro e il suo governo di ultra destra; anche i familiari dei 138 ostaggi ancora in mano ad Hamas proseguono le manifestazioni, per invitare Netanyahu a riprendere i negoziati. Per recuperare alcuni corpi di persone catturate il 7 ottobre dai fondamentalisti, hanno perso la vita nove soldati israeliani, portando a 115 il numero dei caduti. I sondaggi dicono che la maggior parte dell’opinione pubblica ritiene il premier responsabile del disastro del 7 ottobre, così come di un’operazione contro Hamas che non risparmia i civili di Gaza; fonti palestinesi indicano 18.600 vittime, e restano aperti gli altri fronti, come la Cisgiordania, con scontri a fuoco e arresti a Jenin, e il confine con il Libano, dove Hezbollah, la milizia filo-iraniana, spara di continuo sulle posizioni israeliane, subendo poi la reazione. Sul Fatto di domani leggerete maggiori particolari sul delicato momento del presidente americano Biden rispetto alle due crisi – l’Ucraina e il Medio Oriente – e un articolo sul fronte interno israeliano che chiede a Netanyahu di farsi da parte. Inoltre, ci sarà il diario da Gaza.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Accordo con l’Italia sui migranti, la Consulta albanese sospende le procedure parlamentari per l’approvazione. La Corte Costituzionale è stata chiamata in causa da due ricorsi presentati dal Partito Democratico albanese e altri 28 deputati schierati a fianco dell’ex premier di centrodestra Sali Berisha. Secondo i ricorrenti, l’intesa con Meloni violerebbe la Costituzione e le convenzioni internazionali alle quali Tirana aderisce. La ratifica parlamentare è, dunque, sospesa fino a quando la Corte non emetterà una sentenza. Potrebbero volerci tre mesi.

Condannato in appello Alex Pompa, che uccise il padre violento. È stato condannato a 6 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione Alex Pompa, il giovane che nel 2020 a Collegno (Torino) uccise a coltellate il padre, Giuseppe, per difendere la madre nel corso dell’ennesima lite in famiglia. In primo grado era stato assolto per legittima difesa.

Francia, addio a Emmanuelle Debever, prima attrice ad accusare Depardieu di molestie. La notizia è stata diffusa dall’Istituto nazionale di arti visive di Parigi (Ina) due giorni fa: Emmanuelle Debever è scomparsa a 60 anni. Oggi un articolo di Libération, non ripreso da altri media francesi, aggiunge che l’attrice si sarebbe tolta la vita gettandosi nella Senna. La morte o presunto suicidio sarebbe avvenuto il 7 dicembre, giorno in cui la tv France 2 ha trasmesso l’inchiesta sui casi di presunte violenze sessuali commesse dall’attore francese. Al momento non si può mettere in relazione con certezza la scomparsa di Debever con l’uscita dell’inchiesta.

Usa, il figlio di Biden sfida il Gop e scagiona il padre. “Mio padre non è mai stato coinvolto nei miei affari”. Hunter Biden, figlio del presidente degli Stati Uniti, si è rifiutato di deporre a porte chiuse al Congresso, chiedendo in modo esplicito un’udienza pubblica. I repubblicani, che si sono rifiutati di accettare, vogliono collegare gli affari di Hunter – tra cui quelli con la compagnia energetica ucraina Burisma – a quelli del padre Joe e procedere con un impeachment verso il presidente.

Caso Gasparri, la Giunta per le immunità scherma il Senatore da Report. Non sarà trasmessa a Report la comunicazione, richiesta dalla stessa trasmissione, che attesta quanto dichiarato da Maurizio Gasparri nei documenti in materia di incompatibilità depositati in Senato al momento dell’elezione. Lo ha stabilito la Giunta per le immunità parlamentari, dopo la denuncia di Report. Il caso è quello che riguarda la presidenza da parte del capogruppo FI della società di sicurezza informatica Cyberealm, non dichiarato a Palazzo Madama.


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Attacco ai consultori: da Nord a Sud, le Regioni smantellano i presidi laici per le donne

di Elisabetta Ambrosi

Chiusi, oppure accorpati, o ancora svuotati delle loro funzioni essenziali: i consultori italiani rischiano, sempre più, di perdere la loro funzione di accoglienza e di riferimento laico, gratuito e multidisciplinare. E, soprattutto, quella di essere presidi vicini a casa, visto che la legge del 1976 che li ha istituiti prevede che ce ne siano uno ogni ventimila abitanti. Eppure, praticamente nessuna regione rispetta questo vincolo.

Per fortuna, in loro difesa si sta creando un movimento di donne e altre soggettività, dal nord al sud d’Italia, che cresce sempre di più. E che si oppone alla chiusura o al demansionamento dei consultori.

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